CASO MAIOLO, LA MADRE DEL GIOVANE DI FORMIA DECEDUTO L'ANNO SCORSO: "CI MINACCIAVANO, MIO FIGLIO FINITO IN UN BRUTTO GIRO"

CASO MAIOLO, LA MADRE DEL GIOVANE DI FORMIA DECEDUTO L’ANNO SCORSO: “CI MINACCIAVANO, MIO FIGLIO FINITO IN UN BRUTTO GIRO”

Giuseppe Maiolo
Giuseppe Maiolo

Caso Maiolo. Pamela Artale, la madre del giovane morto il 6 marzo sulla Formia-Cassino, Giuseppe Maiolo, scrive una lettera aperta

“Sono la mamma di Giuseppe Maiolo e sono una madre che il 6 Marzo 2024 ha affrontato il dolore più grande della sua vita, quello di cercare di scaldare le mani di suo figlio sperando riaprisse gli occhi. Sono una madre che appena apre gli occhi al mattino rivive la scena di suo figlio in strada appena dopo l’incidente.

Ed oggi a distanza di un anno, in piena fase di elaborazione del lutto, mi ritrovo ad essere una madre che appena apre i social per svagarsi trova immagini di suo figlio, articoli e commenti creati per mero scopo politico.

Ho provato a praticare il silenzio, a non espormi, ma la stanchezza inizia a farsi sentire e credo sia giusto sappiate chi fosse mio figlio e quale fosse la situazione in cui ci siamo trovati catapultati.

Ho cresciuto i miei due figli completamente da sola, con l’aiuto della mia famiglia e con tanti, tanti sacrifici. Arrivai anche a fare tre lavori pur di non fargli mancare nulla e a sacrificare l’adolescenza di mia figlia maggiore, Alexia, cosicchè potesse badare a Giuseppe.

L’adolescenza di mio figlio come quella di tanti altri ragazzi non è stata semplice, tante assenze, tante mancanze nonostante io mi sforzassi di dargli il 100% di me, ma certe assenze ho imparato che non puoi colmarle.

D’altro canto, però, tutto questo ha richiesto ogni mia energia, portandomi ad essere meno presente nella vita di mia figlia maggiore Alexia nei momenti in cui aveva più bisogno di una mamma.

Ho lottato con tutte le mie forze insieme a lui, cercando di non abbatterci mai, e quando qualcosa faceva paura lui mi diceva: ”Tranquilla mà’, tutto passa.”

All’età di sei anni ha ricevuto una diagnosi di ADHD, un disturbo dell’apprendimento con relativa iperattività, abbiamo intrapreso un percorso psicoterapeutico e abbiamo cercato di seguirlo duramente per tutto il resto degli anni. Questo ha reso il mio compito di madre ancora più arduo ma non mi sono abbattuta.

Crescendo è diventato ancora più complicato riuscire a gestirlo, e nonostante gli sforzi e le raccomandazioni sul mondo esterno, lui è finito nel giro più brutto di tutti. Ha perso la retta via. Ho cercato di stargli vicino in tutti i modi, arrivando addirittura come ultimo tentativo disperato a denunciarlo e farlo arrestare con l’aiuto di mia figlia. Volevo che qualcuno mi aiutasse a farlo uscire dal brutto giro di cui era entrato a far parte. L’ho seguito in tutti gli iter legali insieme al mio avvocato senza mai abbandonarlo, ero presente ad ogni arresto, e anche quando lo hanno trasferito in una casa famiglia non ho mai saltato un giorno di visita. Non mi sono mai arresa, non gli ho mai lasciato la mano. Ma tutto ciò non è servito.

Purtroppo quando entri nel sistema sbagliato è difficile uscirne, ma sopratutto è difficile proteggersi, loro non si fermano… Sono iniziate le minacce sotto e dentro casa, i pedinamenti…

Al seguito di questi avvenimenti successivamente denunciati, un giudice minorile mi ha spiegato che accettando una temporanea sospensione della patria potestà avrei permesso a mio figlio una maggiore speditezza burocratica per la sua tutela. Io ho accettato perchè volevo solo proteggere mio figlio e non sarebbe di certo stata una carta scritta a rendermi meno madre.

Ed è proprio da quel momento che è iniziata invece la parte più difficile della nostra storia, perchè nulla cambiò, mio figlio viveva ancora a casa con me, proprio dove ci minacciavano, ma soprattutto io non avevo più alcuna autorità su di lui non avendone la patria potestà.

Mi ritrovai a non poterlo portare dal medico di base del nostro paese, anzi, dovevo fare un viaggio di due ore. E quando coloro che lo minacciavano lo hanno investito con l’auto, sapevo di non poterlo portare io personalmente in ospedale sempre per via della patria potestà, quindi mi sono trovata obbligata a mentire ed omettere questo dettaglio pur di farlo visitare.

Da lì in poi tutte le visite dovevo farle privatamente e totalmente a mio carico. Non ho potuto neanche iscriverlo io personalmente a scuola, e nessuno si è più interessato di farlo.

A mio figlio serviva protezione e invece ci siamo ritrovati dentro l’ennesimo vortice di caos e disorganizzazione. Tutto ciò che avevo fatto per lui iniziava a sembrarmi vano.

Quella mattina, la mattina del 6 Marzo 2024, mio figlio era a scuola, ma non perchè qualcuno lo avesse iscritto, bensì perchè lui voleva tornare a studiare ed era andato a parlarne con la sua professoressa.

Io ero a casa ad aspettarlo mentre gli preparavo la colazione, e lui mi ha detto solo ”mamma a scuola è andata bene sono contento che ci ritorno ora vado a fare un servizio pochi minuti e torno”.

Mio figlio da quella porta non è più rientrato. Mio figlio quella mattina sarebbe dovuto essere a scuola, come un ragazzo di sedici anni.

Io come madre so di avercela messa tutta, e lo stava facendo anche lui. Ma ci sono state cose molto più grandi di noi, che una semplice mamma, da sola, non poteva fare. Scrivo ciò perchè credo sia giusto mettere a tacere le illazioni che vengono fatte su mio figlio e la nostra famiglia, soprattutto in un momento devastante come questo, in cui l’unica cosa di cui abbiamo bisogno per conviverci è tranquillità e affetto”.

Pamela Artale

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