Oggi, in una nota, il presidente della commissione regionale sanità, Giuseppe Simeone, ha dichiarato:
«Si è svolta oggi, in seduta congiunta delle commissioni regionali sanità e affari istituzionali, l’audizione del garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, sui tragici eventi che hanno avuto quale teatro il carcere di Rebibbia e che hanno portato alla morte di due bimbi. All’incontro ha partecipato anche, Gianni Vicario, in rappresentanza della direzione regionale salute ed integrazione socio sanitaria. In questa occasione è stato possibile affrontare, in modo generale, il tema dell’assistenza sanitaria nelle carceri della nostra regione, di approfondire i limiti di un sistema ancora, e purtroppo, disomogeneo in termini di azioni messe in atto e che soffre di un endemico sottodimensionamento del personale deputato ad assistere le persone più fragili, come psicologici e mediatori culturali. Abbiamo affrontato, tutti, questa tematica spogliandoci di qualsiasi pregiudizio con il solo prioritario obiettivo di comprendere come istituzione cosa possiamo e dobbiamo fare per migliorare la vita dei detenuti nelle carceri del Lazio, per sostenere e assicurare a chi in queste strutture svolge un lavoro delicatissimo ed impegnativo, dalla dirigenza agli agenti della polizia penitenziaria. Nel particolare ci siamo concentrati anche sulle condizioni delle donne, mamme, con i propri bambini. Su come viene affrontata, in termini di organizzazione e sorveglianza, la loro detenzione, quali sono le condizioni in cui vivono e soprattutto sulle alternative esistenti al carcere. I tragici fatti di Rebibbia ci hanno posto di fronte ad un cortocircuito sconcertante, a delle falle del sistema, che devono essere recuperate con la massima responsabilità e rapidità. Non è accettabile che le criticità rilevate dagli psicologici dopo il colloquio con la detenuta, e trasmesse al sistema sanitario regionale, siano rimaste carta straccia. Così come è incomprensibile che siano stati sottostimati i segnali di inquietudine che la donna aveva mostrato sin dall’inizio della detenzione. Su questo si devono avere delle risposte. Le stesse che, con rammarico sono costretto a constatare, non abbiamo ricevuto né dalla Asl Roma 2 né dalla direzione regionale sanità e integrazione socio sanitaria a cui, nel legittimo esercizio delle mie funzioni di consigliere regionale, avevo chiesto al fine di dare a tutti i commissari tutte le informazioni sul caso, dettagliata relazione sull’accaduto. Ma questo ci è stato impedito. Ci troviamo, e la cronaca ne è testimone, di fronte a misure cautelari di detenzione in carcere spesso sovra commisurate rispetto alla effettiva portata del crimine commesso. Ci troviamo troppo spesso di fronte a situazioni margine che, come in questo caso, per la fragilità psicologica della donna richiedono misure di massima attenzione ed intervento. Tutti fattori che hanno posto alla nostra attenzione, forse tardivamente, il fatto che dobbiamo lavorare ad ogni livello per sostenere ed implementare tutti quei progetti e quelle iniziative che possano portare alla creazione di una rete radicata sui territori di centri di accoglienza per detenute con figli alternativi al carcere, rendere omogenea l’organizzazione sanitaria negli istituti penitenziari segnata oggi da forti differenze, assicurare maggiore presenza di personale medico che possa h24 seguire e trattare i detenuti. Abbiamo due grandi occasioni per farlo che sono il Piano sanitario regionale, che sarà presto portato all’esame della commissione che ho l’onore di presiedere, e il la proposta di legge di stabilità e bilancio che esamineremo entro fine anno. Ci sono le leggi, ci sono gli strumenti. Il nostro compito è migliorarli ed implementarli nell’interesse dei detenuti che sono persone che meritano di trovare negli istituti penitenziari un percorso di riabilitazione e non di punizione fine a se stessa”.