CAPORALATO A BORGO FAITI, NEL PROCESSO AI DE PASQUALE SPUNTANO I COMPLICI DELL’EX GIUDICE CASTRIOTA

Caporalato e turni massacranti sul posto di lavoro: prosegue il processo a carico degli imprenditori di Borgo Faiti

Non manca molto alla chiusira del processo che ha coinvolto le aziende e la famiglia De Pasquale di Borgo Faiti, interessati dall’operazione della Procura di Latina ed eseguita ad aprile 2020 dagli agenti della Questura di Latina e del Commissariato di Fondi.

Il processo, che si sta svolgendo presso il I collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Gian Luca Soana, vede alla sbarra i coniugi Luciano De Pasquale e Roberta Albarello, più altri tre dipendenti dell’azienda vicini, ad ogni modo imparentati con la famiglia. I reati contestati dalla Procura di Latina, al momento dell’operazione, erano intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro violazioni al testo unico sugli stranieri in materia di Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato. Uno dei casi di caporalato che più fece scalpore al momento delle misure. Nel 2022, per inciso, il Tribunale di Latina ha dissequestrato le aziende di De Pasquale.

Il provvedimento aveva restituito alla famiglia De Pasquale, assistita dagli avvocati Nicola Ottaviani e Giuseppe Fevola, la disponibilità delle due aziende alle porte di Latina, anche sulla base delle dichiarazioni, fornite in una udienza, da parte del custode giudiziario nominato dal Tribunale stesso. Quest’ultimo aveva relazionato sugli stipendi dei dipendenti, ora adeguati alle norme, e sulle condizioni igienico-sanitarie, al momento tornate nella norma.

Nel corso dell’udienza odierna sono stati ascoltati alcuni testimoni chiamati dalla difesa, tra cui l’agronomo dell’azienda che ha spiegato di come le attività all’interno della stessa fossero state sempre regolari: nessuna imposizione ai lavoratori e persino scelte collegiali.

Ad ogni modo, per la prossima udienza fissata il 28 marzo 2025, verrà ascoltato come testimone, Stefania Vitto, all’epoca dei fatti dipendente dell’azienda di De Pasquale. La donna è un nome non nuovo alle cronache giudiziarie: è stata, infatti, coinvolta nello scandalo dell’ex giudice del Tribunale di Latina, Giorgia Castriota, con la quale è indagata a Perugia e deve rispondere insieme al magistrato sospeso dal Csm, Silvano Ferraro e Stefano Evangelista dei reati di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari ed induzione indebita a dare o promettere utilità. Peraltro è emerso che quando una delle due aziende fu sequestrata, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Molfese, diede l’amministrazione giudiziaria a Silvano Ferraro, il professionista che la Procura di Perugia e le Fiamme Gialle umbre considerano uno dei perni sui quali ruoto l’inchiesta su Castriota. L’ex magistrato di Latina, secondo l’accusa, avrebbe brigato in più di un’occasione per far avere a Ferraro, con cui intratteneva una relazione sentimentale, gli incarichi dal Tribunale di Latina in merito ad aziende poste sotto i sigilli.

Tornando al processo De Pasqule, le indagini, coordinate dalla Procura di Latina e condotte da personale della Squadra Mobile e dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico e del Commissariato di Fondi, permisero di far emergere la circostanza per cui le aziende prelevavano, tramite automezzi della ditta stessa, con alla guida dipendenti con funzioni di autista, i lavoratori nei pressi delle loro abitazioni e più precisamente in punti di raccolta ben precisi posti anche nei comuni limitrofi, per condurli prima nell’azienda principale e poi dividerli sui campi, sempre a mezzo degli stessi furgoni.

Sui mezzi di trasporto, secondo la ricostruzione di inquirenti e investigatori, venivano stipati i braccianti agricoli, che svolgevano una giornata lavorativa fino a dieci ore, per 25/26 giorni al mese, senza che agli stessi venisse per altro riconosciuto eventuale straordinario per le ulteriori ore prestate, senza alcuna copertura sanitaria, senza alcuna retribuzione aggiuntiva in caso di festività o riposo settimanale e senza presidi antinfortunistici e/o di sicurezza.

I braccianti avrebbero lavorato quindi in difformità a quanto previsto dal CCNL posto che a fronte di 8 ore di lavoro prestate mediamente, gli veniva corrisposta una paga giornaliera di 30-32 euro, non percependo alcuna maggiorazione per il lavoro straordinario. Nella fattispecie i lavoratori percepivano una paga che oscillava fra i 500 e gli 800 euro al mese, nonostante gli stessi prestassero la loro opera per 25/26 giorni al mese, corrispondente a meno di 4 euro all’ora.

La successiva attività di osservazione presso le aziende agricole di proprietà di De Pasquale e Albarello ubicate su una Migliara a Borgo Faiti (Latina), avrebbe fatto riscontrare la presenza di numerosi braccianti agricoli, manodopera rappresentata da cittadini italiani e stranieri, in prevalenza indiani, i quali, mediante furgoni o l’utilizzo di velocipedi o ciclomotori, giungevano in massa presso detta azienda a partire dalle ore 7 circa per poi uscirne alle successive ore 17 circa.

Alle iniziali dichiarazioni rese dal primo lavoratore indiano, si aggiunsero nel corso delle indagini quelle di ulteriori lavoratori tutte univoche nel rappresentare un disarmante quadro di sfruttamento che sarebbe stato creato da De Pasquale e Albarello.

Dalle dichiarazioni acquisite dagli investigatori sarebbe emerso non solo la consapevolezza da parte dei lavoratori dello sfruttamento ma, anche e soprattutto l’impossibilità di rinunciare al lavoro loro offerto per far fronte alle primarie esigenze di sostentamento.

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