È stata una serata inusuale quella di sabato 16 novembre quando, a San Felice Circeo, è andato in scena un evento culturale sui generis, peraltro anticipato da un velo di mistero sul luogo dell’incontro.
Siamo nel bel mezzo del promontorio, uno dei più belli del mondo, e lo scrittore Vincenzo Costantino Cinaski sta presentando il suo recital musical-letterario dedicato ai versi del celebre scrittore Charles “Hank” Bukowski e alle strofe dell’altrettanto famoso cantautore Tom Waits.
L’evento è stato organizzato da Lecizio Parlagreco, un animatore/operatore culturale instancabile che, con il suo brand Exotique, dal 2001, organizza “cultura” e “musica”. Due parole che mettono paura, inzuppati come siamo nella quotidiana follia della cronaca, dell’opinione da talk, ristretti da social veloci e aggressivi dove se passa un minuto, e ti sei girato dall’altra parte, hai perso il mondo. O almeno credi di averlo perso.
Parlagreco lo dice a inizio serata, nella stupenda villa sul Circeo dove ha organizzato l’evento: “Ho pensato di requisirvi il cellulare all’entrata“. E ha ragione perché anche quando entra Costantino, che già per aver scritto un romanzo dal titolo “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare” meriterebbe una statua, c’è ancora qualcuno tra i presenti accorsi che piroetta e batte col pollice o l’indice i tasti dello smartphone.
Ma Costantino in arte Cinaski è troppo bravo, è milanese e solo per l’accento, estraneo nell’autunno pontino, attira l’attenzione. Voce calda, sguardo da burbero buono, inizia subito con un serie di aneddoti adolescenziali dal “manifesto che ritraeva il culo di Ornella Muti” a quando scoprì, in età puberale, un libro di poesie di Charles “Hank” Bukowski: “A me piacciono i suoi versi, ma i suoi romanzi mi fanno cacare. A quell’età già leggevo Dostoevskij“.
Non deve essere stata semplice la vita di Costantino, emigrante all’età di nove anni in Canada con la famiglia di origine calabra trapiantata a Milano, per “recuperare lo zio che stava facendo l’hippie…ce lo aveva chiesto la nonna che si disperava“. Si definisce monarchico ora, non nel senso di Casa Savoia ma come crasi di “Mona” e “Anarchico”.
Eppure, quando questo scrittore inizia a leggere “Quando Dio creò l’amore” o “Loro e noi” e altre poesie intramontabili di Bukowski, sulle note suonate al pianoforte da Mel Morcone, ti accorgi, come direbbe Hank (ci scusi, in realtà, non sapremmo mai cosa direbbe), che possiede un maledetto dono: ti restituisce i tuoi “fottutissimi venti anni” quando uno come lo scrittore americano ti consolava perché era come te, scriveva senza la penna d’oca e non si vergognava di tradurre in parola tutta la disperazione dell’uomo contemporaneo. Un po’ sfigato ma con tanto fascino. “Se vedeva una merda di cane per strada, Hank non la chiamava escremento di unità cinofila, ma merda di cane!“. È questa, per Costantino, la sintesi perfetta della poesia di Bukowski: chiamare le cose con il loro nome.
E Tom Waits? Viene cantato da Costantino, suonato da Morcone, osannato anche lui, ma se dovessimo proprio stabilire una classifica, si vede che per lo scrittore milanese Waits è un riferimento culturale, estetico e musicale, ma Hank…Bukowski lo ha stregato, un fratello maggiore con cui bere, bestemmiare e gloriarsi della bellezza del creato.
Legge pure qualche poesia dal suo nuovo libro, Costantino, “Il più bello di tutti“ (Marcos y Marcos edizioni), e racconta di quei tre giorni di gioventù diventati tre mesi a Napoli dove beveva gratis e scriveva poesie.
Ma, al di là dello scrittore milanese in visita al Circeo in un formato culturale sicuramente accattivante – un reading “fai da te” immerso in una scenografia da sogno che ha avuto un gran successo considerata la “sala” piena – e da ripetere, questa rappresentazione (meta) teatrale, imperniata carnalmente sull’interazione tra Attore e Pubblico, è un esperimento interessante sopratutto per l’asfittica provincia pontina dove si crede che il mondo inizi con un luminaria e finisca in una polemica sulle casette di Natale. Culturalmente siamo lì, non ce ne voglia nessuno.
E quando esci fuori perché lo spettacolo è finito, questo ti rimane appiccicato addosso, sarà perché la letteratura nordamericana ha il fascino del Novecento, fatto sta che te ne vai e ripensi anche al cicaleccio di una spettatrice che durante l’esibizione di Costantino non ha fatto altro che parlare e fare la simpatica. Lo detestavi (“Quando Dio creò l’odio ci ha dato una normale cosa utile“, scrisse Hank), poi, appena finito tutto, inizia a mancarti anche quello.