BENI CONFISCATI A ZANGRILLO: “UNA VICENDA PIOMBATA IN UNO STRANO SILENZIO DA 4 ANNI”

Interrogazione parlamentare sui beni confiscati a Vincenzo Zangrillo, a intervenire è l’associazione antimafia “Antonino Caponnetto” che ha ispirato l’iniziativa dei deputati di “Azione”

“In relazione all’interrogazione parlamentare presentata da Federica Onori e Antonio D’Alessio sul caso Zangrillo, imprenditore di Formia a cui fu sequestrato un ingente patrimonio dalla DIA, dietro sollecito di appartenenti all’Associazione Antimafia A. Caponnetto, intendiamo come Associazione, ringraziare i due Onorevoli per la sensibilità dimostrata nel riprendere una  vicenda piombata in uno strano silenzio da ben 4 anni nonostante che una Corte di Appello, quella di Roma, doveva pronunziarsi dopo la sentenza di annullo del sequestro da parte della Corte di Cassazione con rinvio per una nuova pronunzia”.

A scriverlo, in una nota, è l’associazione antimafia “Antonino Caponnetto”.  

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“A suo tempo – continua la nota – fu l’indimenticabile segretario nazionale Elvio Di Cesare a sollecitare l’iscritto onorevole Cristian Iannuzzi che presentò in merito due ben articolate interrogazioni (la n. 4/11249 e la n. 4/14672) anche in difesa delle ragioni di due giornalisti coinvolti in azioni giudiziarie. 

Certamente con questo nuovo atto ispettivo si riapre questa annosa vicenda con la speranza che si chiariscano le ragioni di questo enigmatico buco di quattro anni in cui, da quanto si legge nell’interrogazione, la Corte di Appello di Roma è rimasta inerme senza pronunziarsi sul caso, speriamo che sarà l’invocata ispezione ministeriale a disvelare questo oscuro mistero.

Certamente, come Associazione Antimafia, valuteremo se inviare copia dell’atto ispettivo sia alla Procura di Perugia, competente a indagare sui magistrati del Distretto Giudiziario di Roma riguardo la vicenda, per eventuale ipotesi di omissioni di atti d’ufficio oltreché al C.S.M. e al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione onde accertare la sussistenza di eventuali violazioni di rilevanza disciplinare”.

Quattro anni fa, a fine 2020, la Cassazione rinviò ad altra sezione della Corte d’Appello per decidere se i beni del noto imprenditore formiano, per il valore di circa 22 milioni di euro, avrebbero dovuto essere confiscati dopo che, a fine maggio 2020, un’altra sezione della stessa Corte aveva respinto il ricorso della difesa sulla decisione della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Latina che aveva dato via libera alla medesima confisca su richiesta della Direzione Investigativa Antimafia.

Secondo la Dia, l’imprenditore Zangrillo è ritenuto vicino al Clan dei Casalesi – fazione Bidognetti. Tra i beni oggetto del provvedimento spiccano oltre 200 mezzi (autoarticolati, autovetture, motocicli, furgoni), 150 immobili (abitazioni, uffici, opifici e magazzini), 21 ettari di terreni ubicati nelle province di Latina e Frosinone, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, per un valore complessivo di oltre 22 milioni di euro.

Con un passato da carrozziere, nel corso degli anni, Zangrillo fece registrare un’improvvisa espansione economica, affermandosi come imprenditore in diversi ambiti commerciali, divenendo titolare, direttamente e/o indirettamente, di numerose società operanti nei settori del trasporto merci su strada, del commercio all’ingrosso, dello smaltimento di rifiuti, della locazione immobiliare e del commercio di autovetture.

Le indagini della DIA avvevano dimostrato il nesso tra l’espansione del suo patrimonio individuale e imprenditoriale (a fronte di redditi dichiarati al fisco nettamente inferiori alle reali capacità economiche) e le attività illecite da lui commesse nel corso degli anni, tra cui spiccano il traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di rifiuti illeciti, nonché l’associazione per delinquere, il riciclaggio e il traffico internazionale di autoveicoli, reati per i quali risulta anche essere stato arrestato.

La Dia, in una delle relazioni semestrali pubblicata negli anni passati, puntualizzava così: “Sintomatica del grado di permeabilità del territorio in parola è la confisca, eseguita il 21 febbraio 2018 dalla DIA di Roma, del patrimonio circa 20 milioni di euro riconducibile ad un imprenditore vicino al clan dei CASALESI – gruppo BIDOGNETTI, impegnato in molteplici attività, quali la gestione di cave di marmo, il trasporto di merci su strada, lo smaltimento di rifiuti e il commercio di autoveicoli”.

Eppure, a raccontare di Zangrillo non è stato semplice in terra pontina. Ne sanno qualcosa i giornalisti Francesco Furlan e Adriano Pagano che, per un articolo scritto nel 2015, in cui raccontavano il fatto che Vincenzo Zangrillo ha due fratelli all’interno dell’Arma dei Carabinieri (anche lo stesso Vincenzo Zangrillo fece il volontario in ferma breve per tre anni nei militari dell’Arma), passarono sotto la scure della querela. A luglio 2023, i due giornalisti sono stati condannati dalla Cassazione a una pena pecuniaria. Responsabili di aver raccontato uno spaccato del loro territorio. Una pagina sulla quale, ora, a distanza di anni, una nuova interrogazione parlamentare cerca di fare luce.

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