La giustizia funziona secondo norme precise, ma sono i tempi elefantiaci che vengono di volta in volta stabiliti a colpi di rinvii semestrali ad essere una vera e propria vergogna. Qualsiasi siano i motivi di queste lungaggini, tali circostanze giocano – in genere – solo a favore degli imputati e, soprattutto, della prescrizione dei reati, in questo caso inerenti all’inquinamento della falda millenaria che da sempre giace sotto la discarica di Borgo Montello. Questa mattina, presso il Tribunale di Latina, l’ennesima udienza del processo che vede sul banco degli imputati Vincenzo Rondoni e Bruno Landi, all’epoca dei fatti dirigenti di Ecoambiente (gestore di parte degli invasi della discarica di Montello), e l’imprenditore Nicola Colucci. E l’ennesimo rinvio ad aprile 2020 disposto dal giudice a causa dell’assenza dei testimoni convocati, il dott. Rodolfo Napoli (Consulente tecnico d’ufficio per alcune perizie sulla discarica e ordinario di Ingegneria sanitaria e ambientale presso l’Università di Napoli) e il Colonnello in pensione della Polizia Provinciale, Attilio Novelli. Quest’ultimo, purtroppo, non è in buone condizioni di salute, cosa già nota grazie all’udienza del 4 dicembre 2018.
Il sito, ex Valle d’Oro come la chiamavano i coloni arrivati dal nord Italia per coltivare queste lande assai produttive, è stata violentata dalla presenza soprastante di una discarica tra le più grandi d’Italia in cui è stato conferito di tutto: dai fusti tossici nell’invaso denominato S3 gestito dalla Ecoambiente ai medicinali scaduti che pare siano stati seppelliti nel settore ex B2 dal lato della società Indeco, senza contare il riscontro oggettivo di sostanze come zinco, ferro, manganese, 1,2 DCP e 1,4 DCB che percolano da anni nelle acque sotterranee che ora qualcuno pretende di “bonificare” con perossido di ossigeno.
E il silenzio assordante che si leva dalle istituzioni locali – Comune e Provincia di Latina (Regione Lazio si è costituita parte civile nel processo) – fa sembrare questo disastro ambientale una questione tra i residenti di via Monfalcone e chi ha gestito per decenni la discarica: tuttavia, quell’acqua pesantemente inquinata ce la ritroviamo inconsapevolmente noi pontini nelle colture che arrivano nei nostri piatti (dove si prende l’acqua per irrigare i campi nei dintorni della discarica altrimenti?). È un fatto questo che riguarda tutta la città, non solo poche famiglie. Processo o non processo, le conseguenze di ciò che è stato fatto alla falda continueranno a ripercuotersi negli anni a venire sulle generazioni future. Viene da pensare che essersi costituiti parte civile in questo processo sia stata una scelta coraggiosa ormai svuotata del suo importante significato, divenendo, a causa delle circostanze, più una questione di forma che di sostanza. La realtà è che coloro che vivono di fronte alla discarica hanno la sola opzione di essere una presenza silenziata – loro malgrado – ad un lentissimo susseguirsi di udienze debolmente reattive che faranno diventare questo processo una farsa dall’esito scontato se l’organismo giudicante deciderà di non confermare la permanenza del reato contestato agli imputati con l’art. 440 del Codice Penale, “Adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari“.
La giustizia locale sappia che non è sola e che dalla propria parte ha molti cittadini che pretendono che almeno vengano individuate le responsabilità penali, visto che l’aspetto ambientale e sanitario è totalmente fuori controllo. Le indagini sulla falda sono iniziate più di dieci anni fa, con un incidente probatorio risalente al 2007, per poi proseguire, tramite altri passaggi, al rinvio a giudizio dei coimputati nel 2014 con la prima udienza del processo fissata e svolta il 16 giugno del 2015. Siamo ancora a un nulla di fatto.
“Nel corso di un controllo, la polizia provinciale avrebbe rinvenuto dei fusti nel sito S3, e non nel famoso sito S0 di cui si parlava in precedenza.(…) Questo è quanto ci è stato riferito dal colonnello della polizia provinciale (…). Egli avrebbe dunque effettuato il rinvenimento all’interno di uno dei siti che erano esauriti e che successivamente sono stati utilizzati per l’ulteriore abbancamento e quindi l’ulteriore conferimento dei rifiuti urbani”.
Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio – Commissione bicamerale Parlamento italiano, pag. 58