Omicidio doloso a Terracina, sono uscite le motivazioni della sentenza che ha assolto l’infermiera polacca Gabriela Blazewicz accusata di aver lasciato morire il marito di cancro
Lo scorso 15 luglio, la Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere la collega Concetta Serino, insieme alla giuria popolare, ha emesso la sentenza di assoluzione a carico della 62enne infermiera polacca Gabriela Blazewicz, difesa dall’avvocato Francesco Pietricola e accusata di omicidio doloso, maltrattamenti e appropriazione indebita. Vittima delle sue azioni, secondo il Procuratore capo di Latina, Giuseppe De Falco, titolare dell’indagine che ha seguito il processo dall’inizio alla fine, il 75enne di Terracina, Bruno Vaccarini, ex marito della donna.
Al termine di una camera di consiglio durata un’ora e mezza, la Corte d’Assise ha assolto la donna per quanto riguarda l’omicidio doloso e dichiarato il non luogo a procedere per la contestata appropriazione indebita di circa 70mila euro dai conti dell’uomo. Una sentenza inaspettata arrivata alla fine di una udienza che si era aperta con l’arringa difensiva dell’avvocato Pietricola, il quale aveva chiesto l’assoluzione per la sua assistita e in subordine l’omicidio colposo. Un’arringa diretta e senza fronzoli che è durata circa mezz’ora e che deve avere convinto la Corte d’Assise. Secondo il legale, non esiste prova che la vedova Vaccarini abbia indotto il marito a seguire il protocollo sanitario “eretico, il quale prescriveva di curare il tumore con vitamina C e curcuma, invece che con le cure classiche come la chemioterapia.
La donna era accusata di aver lasciato morire Vaccarini, sposato in seconde nozze. I fatti risalgono agli anni 2018 e 2019 quando, il 7 marzo di quest’ultimo anno, l’uomo morì. Malato di cancro ai polmoni e con un’aplasia alla prostata, il 75enne fu costretto, solo in ultima battuta, per volontà dei tre figli di primo letto – costituisti parti civili e presenti in aula in ogni udienza -, ad andare avanti e indietro con l’Ifo, l’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Purtroppo, Vaccarini ricorse alle cure specialistiche in ritardo: secondo l’accusa, la donna l’avrebbe lasciato morire e gli avrebbe anche sottratto diverse migliaia di euro dai suoi conti, tra i 70 e gli 80mila euro, poco prima del decesso.
Nel corso del processo, era emerso di come l’uomo fosse stato curato a vitamina C e altre medicinali assolutamente inidonei a combattere il cancro ai polmoni di cui soffriva, tra cui anti-infiammatori molto potenti. La difesa delle parti civili – avvocati Fabio Belardi, Luigia Lacerenza e Serena Zompetta -, peraltro, aveva presentato lo scorso 5 aprile, depositandolo presso la Corte d’Assise, una pen drive contenente documenti audio video in cui Vaccarini parla della vicenda che lo ha coinvolto, prima di morire. In quei video, l’uomo dava la colpa alla moglie, ossia l’imputata assolta.
E a far scalpore, in riferimento all’assoluzione, è stata anche la circostanza per cui il Procuratore Capo di Latina, Giuseppe De Falco, prossimo a trasferirsi a Roma come Procuratore Aggiunto, aveva chiesto per Gabriela Blazewicz una condanna esemplare a 22 anni di reclusione, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Ora, è la sentenza firmata dal Presidente della Corte d’Assise, Gian Luca Soana, a spiegare il perché dell’assoluzione di Blazewicz arrivata con la formula “perché il fatto non sussiste”; oltreché ad essere dichiarata non punibile per il reato di appropriazione indebita, in quanto moglie dell’uomo deceduto.
La Corte d’Assise si è concentrata sul punto giudicato dirimente, ossia che era “necessario accertare se Bruno Vaccarini fosse, da marzo del 2018, consapevole della patologia dalla quale era, probabilmente – se non sicuramente affetto e se non sia stata, allora, una sua scelta quella di non effettuare, almeno nell’immediato, quegli ulteriori accertamenti necessari (e quelle cure) e di non avvisare i figli, nati dal primo matrimonio, della patologia da cui era affetto“.
Nel processo – si legge nella sentenza – si è “trovata conferma almeno nei suoi tratti essenziali, la versione fornita dall’imputata e smentita quella resa da Bruno Vaccarini in sede di querela“. Il 75enne, infatti, prima di morire sporse querela nei confronti della moglie: il fatto da cui è scaturita l’indagine della Procura di Latina delegata alla Polizia di Stato.
Vaccarini, secondo i giudici, “era pienamente consapevole della patologia” di cui soffriva, ed era “pienamente consapevole che se non si fosse sottoposto” ad accertamenti, cure, operazione chirurgica, “la sua aspettativa di vita si sarebbe, sicuramente, ridotta in modo notevole”. Inoltre, il 75enne “non aveva voluto, scientemente, rendere partecipi della sua patologia nessuno, inclusi i famigliari più stretti, ad eccezione della moglie“. Decisive, secondo la Corte d’Assise, le testimonianze dei medici Renato Delli Colli e Michele Giovanni Lopergolo, chiamati dalla difesa. Delli Colli ha spiegato di aver detto a Vaccarini, dopo aver visionato la radiografia, che c’era da approfondire quanto rilevato: “c’era un grosso sospetto, che bisognava approfondire in tempi brevi”.
Il dottor Lopergolo, specializzato in chirurgia toracica, “ha riferito di aver verificato che Vaccarini aveva una neoformazione, quindi un processo espansivo” del cancro, nella “parte superiore del polmone di destra; in quella occasione, non si espresse con il paziente come neoplasia, in quanto non aveva fatto una biopsia“.
Lopergolo ha spiegato di “aver parlato con Bruno Vaccarini sia sulla sua situazione sia sugli esami che doveva fare sia sulle condizioni di salute, in relazione ad informazioni necessarie prima di una operazione”. Inoltre, ha “consigliato a Bruno Vaccarini di fare la TAC e la Pet in una struttura di Napoll in quanto, al tempo, quella struttura garantiva un esame rapido e fatto molto bene“.
Alla luce delle visite dai dottori, i giudici evidenziano che “a dimostrazione che Bruno Vaccarini fosse consapevole della sua situazione polmonare, lo stesso, in data 24.10.2018, si è sottoposto ad una nuova RX polmonare dalla quale non solo trovava conferma quanto già accertato, ma emergeva un aggravamento della situazione“.
I giudici osservano che “non rientrava nelle prerogative della Blazewicz di poter costringere il marito a curarsi, contro la sua volontà, non avendo la stessa una posizione di garanzia che le desse un tale diritto/dovere rispetto ad una persona che era perfettamente capace di discernere, di intendere e di volere“.
In un’altra deposizione, la dottoressa Iorio, medico del pronto soccorso di Terracina, ha spiegato che “da un lato” vi era “la contrarietà della Blazewicz alla effettuazione delle cure necessarie per quella patologia, dichiarandosi più favorevole a cure alternative (come confermato anche dalla dottoressa Fasano, altra testimone), ma dall’altra ha riferito che anche Vaccarini fosse a conoscenza della sua malattia“.
È vero – motivano i giudici – che Blazewicz “ha condiviso la scelta del marito di non curarsi“, senza contare che non “può portare a una condanna dell’imputata la circostanza che la stessa ha condiviso la scelta di Vaccarini di non curarsi in modo tradizionale, sulla base delle regole fissate, a livello internazionale, dalla scienza medica, adottando quale cura la sola somministrazione di terapie palliative“. Terapie palliative che erano consistite in vitamina C, curcuma e anti-infiammatori
E non sono, invece, decisivi i video sui quali la stessa accusa ha basato la requisitoria. In quei video, Vaccarini, ormai morente, imputa alla moglie di essere la causa della sua mancata cura. Per i giudici, invece, va sottolineato che i video “sono stati realizzati dal figlio di Vaccarini, con lo specifico intento di utilizzarli in un futuro processo nei confronti della Blazewicz“, peraltro “attraverso la formulazione di domande – a una persona a letto gravemente ammalata – fortemente suggestive”. Tutto con un atteggiamento che viene descritto come “pressante”, il che “può avere inciso sulla sincerità delle risposte di Bruno Vaccarini“.
“La Corte – concludono i giudici – non può sapere per quale motivo, nella parte finale della sua vita, Vaccarini ha dato una versione, accusando l’imputata, appare non rispondente al vero.
Si può ipotizzare – ma solo ipotizzare senza alcuna certezza – che Bruno Vaccarini, quando si è accorto che la sua decisione lo avrebbe portato, a breve, verso un inesorabile morte, ha deciso di scagliarsi contro l’imputata che lo aveva supportato e forse incoraggiato in quella originaria decisione, individuando nella stessa colei che lo aveva spinto o che, comunque, non lo aveva dissuaso dalla scelta di non curarsi; il tutto con accuse originate anche dall’atteggiamento, in parte comprensibile, dei figli che, evidentemente, gli hanno chiesto conto di questa sua scelta anche con riferimento al loro mancato coinvolgimento”.
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