La sensazione, per quanto riguarda l’inquinamento delle terre che avvolgono Aprilia, è che siamo fermi alle opinioni incistate su Rida Ambiente e si trascuri il disegno generale perpetrato, negli anni, da quegli agganci tra imprenditoria e politica di cui il Noe fa riferimento nella relazione del 2017 in Commissione Ecomafie. Viluppi costituitisi soprattutto intorno a silenzi di comodo e omissioni colpevoli per cui il caso denunciato dall’ex consigliera comunale Porcelli nel 2016, e che riguardava un contributo economico di 10mila euro corrisposto dal patron di Rida Ambiente, Altissimi, all’attuale sindaco Terra, fu uno squillo di tromba che, però, non ha avuto seguito per un discorso a largo raggio sulle aderenze tra imprenditoria dei rifiuti e politica.
Rida Ambiente attira le nostre attenzioni ed è giusto che sia così poiché è l’unico impianto territoriale di trattamento meccanico biologico di rifiuti urbani (TMB) e speciali, “con produzione di CDR con linea separata di smaltimento di rifiuti liquidi”; perché, come noto, gestisce, un TBM sito in Campoverde (Aprilia), autorizzato al trattamento di 409.200 tonnellate annue di rifiuti; poiché serve l’ATO di Latina, l’ATO di Colleferro e dà supporto, guadagnandoci, anche a Roma Capitale ogni qual volta le fiamme sorprendono il Campidoglio, come successo nel 2017 con l’incendio di Pontina Ambiente di Albano Laziale o recentemente, a fine 2018, con il maxi-rogo dell’impianto romano Ama di via Salaria.
Eppure, la terra dei fuochi apriliana, come specificato anche nella prima parte di questo reportage, è molto di più. E si commetterebbe un errore di obiettivo se non avessimo una vista panoramica ma ci limitassimo al mirino.
CRONICI PROBLEMI, RIMEDI ASSENTI
Le nostre terre pontine, e quella apriliana ne è un esempio calzante, soffrono in linea generale almeno tre grossi deficit, bene evidenziati dalla relazione Ecomafie pubblicata dal Parlamento a fine 2017. In un territorio dove, secondo i dati della Guardia di Finanza, il volume d’affari sviluppato dal sistema di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani è pari a circa 400 milioni di euro; mentre la quantità di rifiuti prodotti in provincia nel 2015 è stata pari a 286.464,356 tonnellate, delle quali circa il 36% entra nel circuito della raccolta differenziata.
Il primo deficit riguarda “la diffusa inefficienza degli impianti di depurazione comunali, spesso connessa all’assenza o alla inadeguatezza delle reti fognarie, alla mancanza di manutenzione e controlli da parte degli enti competenti, nonché alle carenze di adeguamento degli stessi alle mutazioni della popolazione residente. In proposito, sembra sufficiente ricordare che, secondo Marco Lupo, direttore generale di ARPA Lazio, quanto ai controlli sugli scarichi “noi riscontriamo una percentuale di non conformità…facciamo circa 2.000 campionamenti. Stiamo parlando di numeri significativi. Tenete conto che troviamo una percentuale di non conformità che si aggira dal 20 al 30 per cento dei campionamenti che effettuiamo e che non sembra essere in riduzione”.
Il secondo deficit è rappresentato “dalla enorme quantità di discariche abusive tuttora esistenti” – Aprilia, purtroppo, docet – “connesse con il diffuso fenomeno dell’abbandono illegale di rifiuti, di cui troppo spesso restano ignoti gli autori. Il corollario di tale fenomeno è costituito dal rilevante numero di bonifiche non attuate, che deve essere esteso anche a diversi casi di situazioni riconducibili a specifiche attività i cui autori sono, invece, noti”.
Il terzo e ultimo deficit si caratterizza “per la frequente tendenza, da parte dei gestori degli impianti di trattamento, a forzare la normativa di settore, agendo nellacaratterizzazione del rifiuto – ovvero nella sua catalogazione – con la compiacenza di laboratori di analisi che emettono codici CER (ndr: Codice Europeo del Rifiuto) non esatti, dietro ingiusti profitti. La mancata caratterizzazione porta a procedure di trattamento dei rifiuti meno onerose per l’impianto, con conseguente danno ambientale“.
È abbastanza superfluo affermare che Aprilia, così come Latina e altre città della provincia, soffre di tutte e tre queste malattie.
CHE FINE HANNO FATTO LE BONIFICHE?
A tal proposito, dopo il censimento dei siti da bonificare, ufficializzato dalla Regione Lazio nel 2002, sono arrivati i primi fondi per fare i piani di “caratterizzazione”: in sostanza, eseguire quei campionamenti che permettono una più attenta analisi di quanto è sotterrato in determinate aree. Aree come quelle quattro citate nella prima parte di questo reportage: Via Savuto, Sant’Apollonia, Sassi Rossi, Prati del Sole.
Fondi regionali che avrebbero dovuto costituire un passaggio fondamentale per decidere come procedere con il piano di bonifica. C’erano a disposizione ben 652mila euro a questo scopo, che di certo non potevano bastare per fare bonifiche di alcun tipo ma servivano appunto per lo studio delle aree. Questi soldi regionali, però, sono tornati al mittente.
A spiegare, per sommi capi, come sono andate le cose possiamo ricordare le parole dell’ex assessora all’ambiente di Aprilia Alessandra Lombardi nella precedente giunta a guida Antonio Terra, e già assessora ai tempi del Sindaco D’Alessio.
Nonostante il comandante Cavallo avesse detto un mese prima in Commissione Ecomafie del Parlamento che le responsabilità penali di fatti così indietro nel tempo fossero ormai impossibili da verificare, Alessandra Lombardi, nel marzo del 2017, affermava in merito alle bonifiche intervistata dal Settimanale “Il Caffè” di Aprilia: “Ci stiamo districando in un ginepraio di documenti. È necessario scartabellare negli archivi cartacei per individuare con precisione le persone e le società responsabili dei siti all’epoca degli sversamenti. Stiamo pianificando una strategia di azione che ci permetta di intervenire in tempi rapidi. Qualcuno, negli anni passati, ci ha messo le mani – sottolineando un particolare senza chiarirlo compiutamente – ma poi i fondi stanziati dalla Regione Lazio sono rimasti per lungo tempo inutilizzati e infine sono ritornati al mittente”. Quel qualcuno era forse il Sindaco D’Alessio che era il leader di una giunta di cui lei già faceva parte nel 2009, anno in cui erano in ballo questi soldi? Sarebbe importante saperlo perché poi la Lombardi aggiungeva significativamente nell’intervista: “Stavolta, non ci faremo spaventare né fermare da nessuno e andremo in fondo a questa storia e la Regione dovrà sostenerci”.
Peccato che l’unica cosa ad essere rimasta “in fondo” è stata la verità su quei fusti interrati che ammorbano la terra apriliana, visto che da quelle garibaldine dichiarazioni sono passati quasi due anni e nulla è stato fatto. Anzi, qualcosa è accaduto: Alessandra Lombardi non è più assessora, e al vertice del di Piazza Roma c’è ancora il sindaco Antonio Terra, un civico di lungo corso che è succeduto proprio a D’Alessio ed ha resistito persino nel 2018, contro il centrodestra unito, nell’anno del boom della Lega, favorito inoltre dall’assenza di una lista del Movimento 5 Stelle (che solo pochi mesi prima, alle Politiche ’18, aveva raggiunto nella città di Aprilia la sbalorditiva cifra del 45% rispetto al totale dei votanti).
D’altro canto, il sindaco Terra si è espresso molto nettamente in merito ai fondi andati perduti per lo studio delle aree inquinate. Lo ha fatto in una dichiarazione a lui attribuita nel gennaio 2017 da un periodico locale, “Il Pontino”, molto attento sulle vicende di Aprilia: “Si trattava – precisava Antonio Terra – di fondi per la sola caratterizzazione mentre in questo caso la Regione dovrà garantire la copertura anche per la bonifica vera e propria, i cui costi dipenderanno dalla quantità e dalla tipologia dei rifiuti”. La domanda, come diceva quel tale, nasce spontanea: se si fosse saputo esattamente cosa c’era sotto quelle discariche abusive non si sarebbe potuto operare meglio e conoscere l’eventuale danno ai cittadini della zona? E già, perché questa situazione sembravano conoscerla proprio in tanti, tutto sommato. Tanto è vero che l’ex assessora all’ambiente Lombardi aveva dichiarato criticamente che “questa volta non ci faremo spaventare da nessuno” come se in passato invece qualcuno si fosse fatto spaventare.
A nessuno però sono tremati i polsi nel permettere un maxi piano di recupero di edificazioni residenziali abusive proprio a margine dei terreni citati nella prima parte dell’articolo. Anzi, il fatto che questi terreni e queste ex cave fossero presenti nelle aree limitrofe dei piani non sembra nemmeno essere evidenziato nel piano urbanistico di cui sono stati autori e firmatari gli ingegneri Buttarelli (che poi sarebbe diventato, per un breve e travagliato periodo, assessore all’urbanistica di Latina nella Giunta Coletta, da cui si è dimesso in seguito all’operazione Touchdown che ha terremotato la giunta cisternese di Eleonora Della Penna) e Berdini (che ha avuto un breve periodo di assessorato all’urbanistica con la giunta di Virginia Raggi, concluso anch’esso anzitempo).
TUTTI SANNO MA SI VIVE ALLA GIORNATA
Molti sembravano sapere del disastro delle aree contaminate. Lo conosceva, come detto, il discusso ex assessore Mario Catozzi. Ne erano a conoscenza il Sindaco, l’ex assessore Lombardi, lo sapevano le autorità. Ma al centro della scena questi fatti sono tornati d’attualità, dopo decenni, per opporsi al progetto di discarica a La Cogna della “Paguro”, una società nata dal gruppo “Rida Ambiente” che, dopo aver acquistato i terreni, ottenuto le certificazioni edilizie e gli incartamenti vari, ha ricevuto il niet della politica e delle autorità tornati memori di quella fossa dei veleni di Via Savuto, considerata giustamente, ma a corrente alternata, un intollerabile sfregio all’ambiente.
E quando la società di Altissimi ha proposto di farsi carico della bonifica, il Comune ha semplicemente impedito il progetto e ha rifiutato l’aiuto della stessa società che dispone di pozzi piezometrici attraverso i quali sarebbe facile eseguire dei campionamenti delle acque. Una volta che la Regione ha dato il suo diniego alla discarica e il Comune ha potuto vestire l’abito della “grande vittoria”, la vicenda delle discariche dei veleni è tornata a tacere nel sottosuolo, dove sembra gli competa per decreto imposto dalla storia stessa. E nessuna promessa, nessuna azione, nessuna mossa è più arrivata dalla politica. E nessuno ancora sa veramente se e quanti danni potrebbero essere derivati da un oscuro periodo di decenni ancora così pieno di incognite. Non si sa quali sostanze, quali veleni ancora giacciono sotto le discariche abbandonate da tutti.
In soldoni, senza cadere nel benaltrismo, Paguro e Rida diventano l’unico problema del territorio di Aprilia, il capro espiatorio dove far cessare le altre domande e le possibili azioni, un palo della luce che mette in ombra il resto. Non più Via Savuto, Sant’Apollonia, Sassi Rossi, Prati del Sole ecc., ma solo Paguro e Rida.
NON SOLO APRILIA
Un meccanismo di occultamento a volte volontario e colpevole da parte dell’informazione, sicuramente involontario e comprensibile da parte di chi vive sulla pelle alcuni dei problemi che la gestione dei rifiuti, compreso Rida e Progetto Ambiente (la società partecipata dal Comune di Aprilia che si occupa di raccolta dei rifiuti), ha dato ai cittadini di Aprilia.
Un vizio, quello dell’occultamento, che investe a catena tutta la nostra consapevolezza del problema dei rifiuti e della loro gestione, al di là della questione Aprilia (ma di cui la città del nord pontino ne è epitome). Ecco, così, che si producono alcuni effetti grotteschi quali, ad esempio, l’obnubilamento di una inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, denominata “Maschera”, che ha riguardato e che riguarda anche alcune aziende pontine sul territorio, e che avrebbe dovuto essere al centro del dibattito. A dicembre 2018, nel silenzio pressoché totale delle cronache pontine (a parte qualche lodevole eccezione), la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha chiuso le indagini sull’operazione Maschera relativa al presunto traffico illecito di rifiuti tra Roma, Frosinone e Latina. A tutti e 31 gli indagati sono arrivati gli avvisi di conclusione indagine, in attesa dell’udienza preliminare. I nomi coinvolti sono di massimo rilievo, come gli ex dirigenti della Saf, che gestisce e lavora i rifiuti dei 91 comuni associati della provincia di Frosinone nel suo impianto di Tmb; i dirigenti e l’amministratore Valter Lozza della Mad, la società che gestisce la discarica di Roccasecca, con noti interessi nel giornalismo pontino tradizionale (Lozza comprò i marchi e aiutò nella fase di start-up il quotidiano più conosciuto della provincia, Latina Oggi); ma anche nomi di aziende della provincia come la Centro Servizi Ambientali (CSA) S.r.l. di Castelforte e la Refecta S.r.l. di Cisterna di Latina, entrambe operanti nel trattamento dei rifiuti, le quali, nel biennio 2014-15, avrebbero conferito alla Saf di Frosinone significativi quantitativi di rifiuti pericolosi declassificandoli in non pericolosi, con la complicità di diversi laboratori di analisi chimica. Un’inchiesta, quella di “Maschera”, che ha messo in luce il problema complesso e radicato della classificazione dei rifiuti pericolosi e dei cosiddetti rifiuti con codici a specchio.
NELLA TERRA DEI FUOCHI APRILIANA ORA SI DISCUTE DI ALTRO
In questa terra apriliana delle contraddizioni, dove ci sono mostri di cui tutti parlano, mostri di cui tutti conoscono e di cui nessuno parla, e mostri ancora sconosciuti, è recente la notizia data da Francesca Cavallin di Latina Oggi riguardo alla lievitazione della spesa di Progetto Ambiente, la società partecipata del Comune di Aprilia per la raccolta dei rifiuti, con una sequela esponenziale di affidamenti che sono esorbitati verso costi milionari inaccettabili sopratutto per le arcinote tasche dei cittadini. Il prossimo round è atteso per il 31 gennaio in Commissione Finanze del Comune di Aprilia. Unico punto all’ordine del giorno: audizione dell’amministratore unico della Progetto Ambiente.