I signori dei rifiuti lo sanno: il business maggiore e futuribile sarebbe quello del trattamento della plastica, sebbene il pacchetto legislativo (4 leggi in tutto) sull’Economia Circolare del Parlamento Europeo rivolga l’attenzione, più che al possibile lucro, al modo in cui il comparto economico-produttivo dovrebbe investire in programmi e modalità standardizzate per curare il “fine vita” dei loro prodotti.
Il 4 aprile, il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato che in Consiglio dei Ministri è stata approvato il disegno di legge Salvamare che, dopo aver seguito l’iter parlamentare ed essere votato, proverà a contrastare questa vera e propria “epidemia” che colpisce anche l’Italia (video a seguire). “Ho una grande gioia che voglio condividere con voi – ha detto Costa con un post su Facebook – ieri sera (ndr: 4 aprile) è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge Salvamare al quale tanto ho lavorato e di cui vi ho parlato già. Iniziamo a ripulire il mare dalla plastica e lo facciamo con degli alleati eccezionali, dei “fratelli” potrei dire, i pescatori, che conoscono il problema meglio di tutti perché ogni giorno tirano su le reti raccogliendo spesso altrettanta plastica rispetto al pescato. I pescatori potranno finalmente portare a terra la plastica accidentalmente finita nelle reti. Finora erano costretti a ributtarla in mare perché altrimenti avrebbero compiuto il reato di trasporto illecito di rifiuti, sarebbero stati considerati produttori di rifiuti e avrebbero dovuto anche pagare per lo smaltimento. Con la legge Salvamare appena approvata i pescatori che diventeranno “spazzini” del mare potranno avere un certificato ambientale e la loro filiera di pescato sarà adeguatamente riconoscibile e riconosciuta. I rifiuti potranno essere portati nei porti dove saranno allestiti dei punti di raccolta”.
Ad oggi l’opzione prevalente per la gestione dei rifiuti di prodotti in bioplastiche è il conferimento nella raccolta della frazione organica dei rifiuti solidi urbani e il successivo avviamento al compostaggio industriale che, a causa del possibile conferimento (errato) dei rifiuti in bioplastica nella raccolta della plastica, rende necessaria la messa a punto di una metodologia migliore, da utilizzare sopratutto nelle fasi di selezione e separazione dei rifiuti plastici.
D’altra parte che la plastica rappresenti un enorme problema dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Il motivo? Ne siamo invasi, sopratutto nei mari come, peraltro, evidenziato dall’inchiesta della Guardia Costiera di Gaeta che, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Cassino, ha svolto una complessa attività d’indagine in materia ambientale nel Golfo di Gaeta a seguito del rinvenimento di numerosi retini plastici all’interno delle reti da pesca utilizzate dal ceto peschereccio di Formia e Gaeta. Il materiale plastico utilizzato dagli impianti non ha una specifica pericolosità ma il potenziale pericolo deriva proprio dall’abbandono sul fondale per poi finire sulle spiagge e nelle reti dei pescatori. La pericolosità veniva evidenziata dall’ARPA LAZIO che ha provveduto a caratterizzarne i campioni raccolti specificando che pur potendosi in se considerare materiale/rifiuto non pericoloso, qualora abbandonato nell’ambiente, può essere ritenuto scientificamente dannoso per l’ecosistema ed in particolar modo per l’ambiente marino. In generale il potenziale danno, per l’ambiente e l’uomo, discende dal deterioramento della plastica che costituisce i retini che, inevitabilmente, permanendo in mare, è sottoposta ad un fenomeno capace di degradarla in “litter” e “microlitter”, ovvero le purtroppo tristemente note “microplastiche”. Per quanto riguarda il mare, una vera e propria colonizzazione quella rappresentata dalle microplastiche.
Finora erano state trovate nei cibi, soprattutto nei pesci che le ingoiano in mare ma, a fine 2018, è arrivato il primo studio scientifico compiuto che conferma come le microplastiche rischino di invadere anche il corpo umano. Condotta da Philipp Schwabl, la ricerca dell’Università di Vienna, in collaborazione con l’Agenzia per l’Ambiente austriaca, certificherebbe sinistramente i sospetti che molti scienziati avevano da tempo sulla presenza delle microplastiche nell’intestino umano. Schwabl, il ricercatore che ha diretto lo studio, è certo che le particelle più piccole delle microplastiche, presenti in una miriade di prodotti tra cui anche molti contenitori per alimenti e nelle bottiglie di plastica, sono in grado di entrare nel flusso sanguigno e potrebbero raggiungere anche il fegato dell’uomo.
Lo studio di Schwabl ha analizzato campioni di feci di un piccolo gruppo di persone di vari paesi tra cui l’Italia: in ognuno dei campioni sono state trovate diverse tipologie di microplastiche, fino a ben 9 tipologie diverse per campione. Il lavoro ha monitorato 8 persone in Finlandia, Italia, Giappone, Olanda, Polonia, Russia, Gran Bretagna e Austria.
Le microplastiche, come ribadisce lo studio austriaco, sono particelle di piccole dimensioni che possono trovarsi nella composizione di certi prodotti o prodursi accidentalmente dalla degradazione della plastica. Le più comuni sono il “polipropilene“, presente in una miriade di prodotti dalle sedie alle custodie per CD, e il “polietilene tereftalato“, utilizzato principalmente per produrre contenitori per bevande e per cibi. Materiali e cose che, se solo dovessimo fermarci un secondo a pensare, sono parte integrante delle nostre case e delle nostre vite.
Nello studio di Schwabl, gli 8 partecipanti hanno tracciato un diario alimentare per una settimana prima di raccogliere diversi campioni di feci. La presenza di microplastiche è stata riscontrata in ogni campione raccolto, in media 20 particelle ogni 10 grammi di feci.
A raccontarci questa minaccia silente e, per certi versi, ancora sconosciuta al grande pubblico non è, naturalmente, solo questo studio austriaco ma diversi scienziati e operatori ambientali, così come avvenuto a Latina il 22 febbraio nel convegno, organizzato dall’Università La Sapienza e da Slow Food, che ha avuto luogo presso la sala conferenze del Polo Universitario Pontino dal titolo piuttosto eloquente “Un Mare di Plastica. Ecosistema, ambiente, economia e salute. Tutto è a rischio”. Patrocinato da Provincia e Comune di Latina, Parco Nazionale del Circeo e Camera di Commercio nonché realizzato in collaborazione con la Condotta Slow Food di Latina, Fondazione Bio Campus e Strada del Vinodella provincia di Latina.
Sono intervenuti Silvestro Greco (Docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Presidente del Comitato scientifico di Slow Fish), Cinzia Gagliardi (Comandante Regionale Carabinieri Forestale Lazio), Giuseppe Persi (Comandante Gruppo Carabinieri Forestale Latina), Luigi Crescenzi (Produttore di conserve ittiche), autore del reportage fotografico “La plastica dalla terra al mare”, Silvia Serranti (Professoressa dipartimento Ingegneria Chimica Materiali Ambiente de “ La Sapienza” Università di Roma), Roberto Perticaroli (Responsabile regionale Progetto Slow Food “Coste Fragili”), Felice Enrico di Spigno (Presidente balneari Confcommercio Terracina), Gabriele Subiaco (Responsabile scientifico Legambiente Terracina), Sergio Zerunian (Docente di Ecologia “La Sapienza” Università di Roma), Claudio Brinati (Biologo), Marcelo Enrique Conti e Cristina Simone (Professori dipartimento di Management “La Sapienza” Università di Roma).
A concludere, Giuseppe Bonifazi (Professore dipartimento Ingegneria Chimica Materiali Ambiente “La Sapienza” Università di Roma) e il documento regionale di Slow Food presentato da Sara Guercio, portavoce dell’associazione: “Buone pratiche contro gli sprechi il consumo di plastiche”
A riportare gli interventi più significativi ci ha pensato Adriano Zappullo sul sito di A Sud, un’associazione indipendente che si occupa di formazione ambientale ed interculturale nelle scuole, nelle università, nei territori e nelle aziende e che fa ricerca sulle questioni legate ai conflitti ambientali, alla riconversione ecologica delle attività produttive e del settore energetico oltreché a promuovere campagne nazionali ed internazionali per la difesa dei beni comuni e per la giustizia ambientale e sociale.
Temi dirimenti, spesso sottaciuti, e apparsi recentemente sul proscenio grazie a #FridayForStrikee e l’imminente Global Strike For Future, la manifestazione mondiale che si svolgerà oggi, 15 marzo 2019, anche nel capoluogo pontino in Piazza del Popolo, e che ha acquisito un enorme battage mediatico con Greta Thunberg, l’attivista 16enne svedese promotrice delle marce dei giovani per il clima in tutta Europa, proposta per il premio Nobel per la pace da tre parlamentari norvegesi in segno di riconoscimento per il suo impegno contro la crisi climatica e il riscaldamento globale.
Le microplastiche, scrive Zappullo nel report del convegno del 22 febbraio, sono frammenti di polimeri plastici dalle dimensioni particolarmente ridotte e di diversa provenienza. La classificazione dimensionale maggiormente condivisa fra gli studiosi le colloca al di sotto dei 5 millimetri (fino al livello micrometrico), mentre in funzione della provenienza sono classificate in primarie e secondarie.
Le microplastiche primarie sono particelle che vengono prodotte con tali dimensioni per specifici utilizzi industriali o commerciali (uno fra tutti è la cosmesi), mentre quelle secondarie provengono dalla degradazione di materiale plastico di dimensioni maggiori. In quest’ultimo caso, è stato osservato sperimentalmente come in ambiente marino le particelle più grandi subiscano prima uno scolorimento, poi una fessurazione superficiale e infine una frammentazione in pezzi più piccoli. La presenza in mare di rifiuti, costituiti in maggior parte da plastiche, prende il nome di marine litter.
Il prof. Silvestro Greco – docente di Produzioni Agroalimentari e Presidente del Comitato Scientifico di Slow Fish – ha illustrato, nel corso del suo intervento a Latina, la storia della nascita (nella seconda metà dell’800) e della diffusione della plastica. Questo materiale, che più correttamente andrebbe indicato come “plastiche” vista la numerosa famiglia di polimeri di cui si compone (PE, PP, PS, PVC e PET), ha rivoluzionato gli usi e costumi della nostra epoca e ha contribuito al progresso di alcuni importanti settori (come ad esempio quello medicale). Tutto questo, però, a quale prezzo? Il dazio che stiamo pagando è molto alto e deriva dalla natura stessa di questo materiale, che ha tempi di permanenza nell’ambiente molto elevati (da 100 a 1000 anni).
Le plastiche raggiungono il mare, nella maggior parte dei casi, attraverso i fiumi e i sistemi di acque reflue, per poi subire quel fenomeno di degradazione che porta alla formazione delle microplastiche. Uno dei maggiori impatti di queste micro particelle è sulla fauna ittica e terrestre, poiché quest’ultimi possono ingerire i frammenti di plastica – rischiando in alcuni casi la morte per soffocamento – e introdurli così nella catena trofica (più comunemente nota come catena alimentare). Infatti, diversi studi hanno evidenziato la presenza di contaminanti nei pesci (quelli potenzialmente più dannosi per la salute umana sono i pesci di grossa taglia, perché più in alto nella catena trofica) e anche in diversi prodotti alimentari.
Come si può agire per cercare di cambiare rotta? Prima di tutto bisogna limitare l’utilizzo di plastica monouso, e in tal senso si sta già muovendo anche la Comunità Europea che – con la direttiva proposta nel 2018 – ha bandito alcuni prodotti in plastica monouso (cotton fioc, piatti, posate, cannucce, ecc.). In secondo luogo bisogna riutilizzare e riciclare la plastica già esistente e, soprattutto, investire su nuovi materiali di origine naturale, come già stanno facendo molti gruppi di ricerca con materiali provenienti da scarti alimentari e vegetali.
Il Comandante gruppo Carabinieri Forestale di Latina, Giuseppe Persi, ha invece illustrato le principali attività condotte dai Carabinieri sul territorio della provincia di Latina: nel 2018 sono stati effettuati circa 1700 controlli con 86 reati accertati, 92 persone denunciate e 50 sequestri penali.
Le principali criticità sono state riscontrate nel sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti di origine agricola: difficoltà dovute agli oneri di raccolta del materiale da smaltire, incapacità dei piccoli produttori a interfacciarsi con il sistema di raccolta, sovraccarico degli impianti di trattamento e scarsa domanda dei prodotti da riciclo. In questo contesto non bisogna poi tralasciare il fenomeno degli “incendi sospetti” negli impianti di trattamento, in quanto diverse indagini hanno accertato che si tratta di fenomeni criminali e non di eventi casuali.
I principali rischi di questa crisi del sistema agricolo sono l’aumento del rilascio di materie plastiche nei terreni, l’abbandono in aree demaniali e la mancata raccolta dei rifiuti nelle aziende marginali. Per affrontare in modo organico il problema bisogna investire sulla progettazione degli imballaggi, stimolare la domanda di materiale riciclato (attualmente pari a circa il 6%), migliorare la raccolta e la selezione dei rifiuti e giungere a un quadro normativo definito per le plastiche con proprietà biodegradabili.
Quali contributi può dare la ricerca nell’ambito dell’inquinamento da microplastiche?
La prof.ssa Silvia Serranti, docente del Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali Ambiente de La Sapienza, ha presentato l’applicazione dell’analisi iperspettrale nella caratterizzazione e classificazione delle microplastiche. Questa metodologia – inizialmente utilizzata per il telerilevamento – è stata applicata ad alcuni casi studio (fra cui quello della costa giapponese) per classificare i rifiuti plastici raccolti in mare. Dai dati raccolti è stata osservata una maggiore presenza dei polimeri PE, PP e PS e un’ottima classificazione dei diversi polimeri plastici.
Luigi Crescenzi, produttore di conserve ittiche, ha invece proiettato delle foto scattate sul litorale di Anzio, dove è possibile osservare le diverse tipologie di rifiuti che le mareggiate trasportano sulla spiaggia: tv, contenitori, cassette, imballaggi di prodotti ittici e altro ancora. Ogni passo che facciamo sulla spiaggia incontriamo 4 rifiuti, di cui 3 in plastica come avvenuto la scorsa primavera anche sulle coste pontine, quando una miriade di dischetti di materiale plastico si erano riversati in più tratti costieri del Mar Tirreno compreso il litorale laziale tra Sabaudia e Fiumicino. La Guardia Costiera accertò la fuoriuscita dei filtri (i dischetti), a causa di un cedimento strutturale di una vasca dell’impianto, nelle vicinanze di un impianto di depurazione collocato in prossimità della foce del Sele, che scorre in Campania nella Riserva naturale Foce Sele – Tanagro e confluisce nel Mar Tirreno da dove, per effetto delle correnti, si sono distribuiti lungo le coste della Campania e del Lazio, fino a raggiungere il litorale viterbese e quello meridionale della Toscana.
Dal punto di vista istituzionale, almeno a carte e protocolli, qualcosa si è mosso. Dal 2014 ARPA Lazio, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione, è impegnata nel programma di monitoraggio dell’ambiente marino costiero istituito dalla Direttiva quadro 2008/56/CE denominata Marine Strategy Framework Directive, in virtù di un accordo di programma tra il Ministero dell’Ambiente (MATTM), le Regioni e il sistema agenziale con il contributo del mondo universitario e della ricerca.
A luglio dello scorso anno, Regione Lazio, Arpa Lazio e Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, hanno firmato un protocollo d’intesa con l’obiettivo di ridurre il fenomeno del marine litter (i rifiuti marini) nel litorale laziale a partire dalla gestione degli imballaggi in plastica nella Regione.
Alla firma del protocollo, nel luglio 2018, dichiarava Marco Lupo, Direttore generale di ARPA Lazio: “Nel mondo la plastica costituisce oltre l’80% dei rifiuti marini mentre i soli Paesi dell’Unione Europea immettono in mare ogni anno una quantità di rifiuti in plastica che oscilla fra 150.000 e 500.000 tonnellate. In mare questi rifiuti si degradano in microplastiche che entrano nella catena alimentare e costituiscono un danno per l’ambiente e la salute umana. L’Agenzia ha avviato di recente, nel contesto di un innovativo programma di monitoraggio previsto da una direttiva europea e denominato Marine Strategy, l’analisi dei rifiuti spiaggiati e delle microplastiche presenti in mare, ad integrazione delle tradizionali attività di controllo della qualità delle acque marino-costiere. Per una istituzione come l’ARPA Lazio, dunque, che ha fra i suoi compiti centrali il monitoraggio dell’ambiente marino-costiero, ma anche la sensibilizzazione alla riduzione della produzione di rifiuti e alla corretta pratica della raccolta differenziata, l’adesione al Protocollo che oggi si sottoscrive, e che investe l’importante settore degli imballaggi in plastica, è piena e convinta e ci attendiamo risultati importanti tanto sul piano della conoscenza quanto su quello delle scelte e dei comportamenti di cittadini e amministrazioni“.
Infatti, tra i tre punti principali del summenzionato protocollo, oltre al monitoraggio dei porti laziali e alle campagne d’informazione ed educazione con la distribuzione alle scuole primarie laziali del kit didattico “RICICLALA! Il gioco della raccolta e del riciclo della plastica”, c’era l’accordo di coinvolgere i Comuni costieri che avrebbero dovuto avviare nuovi servizi di raccolta, e nei quali si prevedeva una pianificazione di iniziative di comunicazione territoriale, per stimolare comportamenti virtuosi negli amministratori e nei cittadini.
A parte qualche manifestazione spontanea ed estemporanea come “Blue Watcher: pescatori e Marevivo insieme per il mare” al Comune di Gaeta, il “Mare d’Inverno” a Formia con Fare Verde, associazione nazionale di volontariato ambientale per la sensibilizzazione sul problema delle micro e macro plastiche, o “Fishing for litter Terracina”, un evento promosso da Legambiente (con i pescatori intenti a raccogliere la plastica in mare) che, però, risaliva al giugno del 2018, un mese prima della firma del protocollo, non risultano compiute iniziative, sopratutto integrate tra Comuni costieri e organi regionali.