Arrivano le richieste di condanna da parte del sostituto procuratore Valerio De Luca per i soggetti coinvolti nell’inchiesta sull’immigrazione clandestina tra Fondi, Terracina, Monte San Biagio, e Pontinia
Il Pubblico Ministero Valerio De Luca, nell’ambito del processo che si sta celebrando in Corte d’Assise presso il Tribunale di Latina, ha formulato le richiesta di condanna a carico di alcuni degli imputati: 10 anni per Islam Nazur, Giuseppe Peppe, Roberto Pietrocini e Maurizio Macaro; 7 anni per Carlo Macaro; 4 anni e 10 mesi Marco Capotosto; 5 anni e 4 mesi per Aldo Pizzi; e infine: 4 anni e sei mesi per Giampaolo Zizzi, Maria Concetta Canale, Alessandro Rotunno, Ercole Rega, Ezio Nardone e Biagio Rizzi. Non solo richieste di condanna, il Pm ha chiesto prescrizione e assoluzione per i restanti 22 imputati, compreso il collaboratore di giustizia Angelo Riccardi, un tempo affiliato al Clan Zizzo di Fondi, le cui dichiarazioni hanno permesso di aprire una falla nell’ipotizzato sistema di sfruttamento dei migranti messo in pratica dagli imprenditori sotto processo.
Secondo l’accusa, gli immigrati pagavano anche fino a 15mila euro per ottenere il visto di ingresso così da entrare in Italia per poi vivere in clandestinità. Erano tutti più o meno giovani, soprattutto dal Bangladesh (anche da India e Pakistan), sfruttati da imprenditori, per lo più di Fondi, e impiegati nei patronati.
A scoprire la supposta associazione a delinquere, reato per il quale comunque il Pm De Luca ha chiesta il proscioglimento per intervenuta prescrizione, furono, a partire dal 2014, i poliziotti della Questura di Latina e del Commissariato di Fondi che indagarono su delega della Procura della Repubblica di Roma – Direzione distrettuale antimafia.
L’avviso di conclusioni indagini a carico dei 35 imputati odierni arrivò nel 2017: a parte l’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione, fu contestata la contraffazioni e il falso ideologico per aver indotto in errore pubblici ufficiali adibiti al rilascio di nulla osta di ingresso, visti di ingresso e rilascio di permessi di soggiorno.
Secondo gli inquirenti, le numerose richieste di nulla osta inoltrate erano state effettuate con l’unico fine di lucrare sui cittadini extracomunitari, i quali, per poter ottenere la richiesta nominativa da parte del datore di lavoro, indispensabile per il ritiro del visto d’ingresso, erano disposti a pagare ingenti somme di denaro, variabili dai 5000 ai 15.000 euro.
Successivamente, una volta ottenuto sul passaporto il visto, l’immigrato entrava “apparentemente in regola” nel territorio nazionale superando i controlli presso gli aeroporti, dopodiché se ne perdevano le tracce, rimanendo così nella clandestinità e prestando lavori privi di qualunque tutela, anche per pagare le grosse cifre di denaro necessarie per ottenere i documenti.
Spropositato, secondo l’accusa, il numero delle istanze inoltrate dai datori di lavoro rispetto alla produzione e al volume degli affari delle aziende coinvolte. Gli imputati avrebbero messo su un giro d’affari da milioni di euro, tanto che ieri, 31 gennaio il Pubblico Ministero ha chiesto, oltreché le condanne, multe a carico degli imputati per un totale di quasi 96 milioni di euro: un cifra calcolata in base a quanti immigrati entrarono sul suolo a fronte del raggiro che, se confermato dal Collegio del Tribunale presieduto dal Giudice Gian Luca Soana, avrebbe proporzioni colossali. Raggiro che, invece, come sostengono gli avvocati del collegio difensivo, avrebbe colto gli imputati che non avrebbero partecipato al sistema di immigrazione illegale affidandosi meramente ai mediatori e ai Centri di assistenza fiscale.
La sentenza è prevista per il prossimo 7 marzo, data in cui è stata fissata l’ultima udienza.