Il Segretario Nazionale F.A.I.L.C. – CONF.A.I.L. Giovanni Chiarato scrive una lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi e alla Ministra della Disabilità Erika Stefani e chiede un incontro per riammettere al lavoro le persone disabili con invalidità dal 74% al 99%
“Egregia dottoressa Erika Stefani – scrive Chiarato – ho apprezzato molto quando il presidente Mario Draghi in diretta tv ha dichiarato che aveva istituito il ministero per le disabilità.
Perché io credo fermamente che una società può dirsi civile solo quando accoglie in se l’esistenza della disabilità umana e se ne fa carico davvero.
E parto da un presupposto fondamentale: siamo tutti disabili.
Nasciamo come dei piccoli disabili che necessitano di ogni aiuto per crescere e per diventare autonomi.
Se Dio ce ne da la forza moriremo come dei disabili, che hanno bisogno di aiuto per lasciare in dignità questa nostra vita. E nel frattempo tutti possiamo diventare disabili, per un trauma o per malattia e questa disabilità può essere temporanea ma può essere permanente ed accompagnarci per il resto delle nostra vita.
Quindi ambisco ad una società che comprende che la disabilità non è una sfortuna capitata a qualcuno ma è una circostanza che riguarda tutti.
Mi aspetto quindi che un giorno, presto, tutte le abitazioni abbiano il bagno attrezzato per i disabili motori, che gli spazi ambientali siano tutti a misura di disabile, che le città siano fruibili come lo siano gli spazi aperti a chi deve essere accompagnato, accompagnata. Vorrei che gli arenili siano per tutti e che infine i panorami siano vedibili anche ai ciechi e la musica sia udibile anche ai sordi.
Non vorrei più che la disabilità sia una tragedia che commuove, di cui se ne parla tanto, in cui si riversa il nostro buon cuore e con la quale ci si guadagna un posto sicuro in paradiso.
Non capisco quindi l’incredibile determinazione nr 3595 INPS del 14 Ottobre c.m. che, a seguito di sentenze di cassazione (rif 17388/2018 e 18926/2019), dichiara che il requisito della mancanza assoluta di reddito da lavoro è quello che concorre a far attribuire l’assegno di invalidità ad un disabile in condizioni economiche disagiate. E che è sufficiente a negare, se in presenza di reddito da lavoro seppure minimo, l’assegno di invalidità ad un disabile in età lavorativa.
Una durezza di principio che non è riscontrabile verso nessun’altra categoria di persone.
Perché è di persone che stiamo parlando, non di entità né di numeri percentuali.
Eppure si capisce da se che se una persona ha una disabilità di livello compresa tra il 74 ed il 99% forse ha qualche difficoltà a svolgere lavori a tempo pieno e pienamente retribuiti e che probabilmente quell’integrazione al reddito da assegno d’invalidità che si riesce ad ottenere con lavori di adeguato impegno e di bassa retribuzione , quasi esclusivamente in cooperative sociali e associazioni, servono proprio a rendere dignità alla sua vita, servono alla possibilità di sovrapporre la propria crescita sociale a quella di chiunque altro.
Invece ora no: i disabili o lavorano sul serio e si fanno pagare uno stipendio che sia degno di questo nome o si prendono il loro misero assegno sociale di 287 euro mensili.
Vivranno solo con quello e con il mitologico reddito di cittadinanza, mai più pensare ad integrazioni nel mondo del lavoro.
A cosa serve un Ministero delle Disabilità se passa questo principio?
A cosa serve, se non detta l’indirizzo politico che afferma la sua rappresentanza nel paese?
A me pare che il detto del Summa Lex Summa Iniuria sia stato superato dall’assurdità di questo teorema legale, avverso a qualsiasi principio di integrazione che deve essere invece il faro che illumina il percorso di evoluzione dell’umanità intesa come “specie sociale”.
Le chiedo ufficialmente di invitarmi a discutere con Lei e ad unire tutte le associazioni che si occupano di disabilità ed i sindacati del lavoro nel farsi carico di risolvere subito e con fermezza questa inaccettabile interpretazione della condizione delle persone disabili nel mondo del lavoro.
Non abbiamo bisogno di divisioni e di isolamento più di quanto non lo si vive oggi. Abbiamo necessità invece di sentire che la nostra battaglia per l’integrazione non sia una battaglia ma una causa di pace, non un conflitto tra insensibilità diffuse”.