Nella disfida tra giornali, Latina Editoriale Oggi e il Messaggero, che ha fatto da corredo all’indagine più dibattuta delle ultime settimane (variante Q3), alla fine sappiamo, grazie alla stessa Latina Editoriale Oggi, che ad avere torto era il quotidiano diretto da Alessandro Panigutti. Niente di catastrofico poiché è facile incorrere in errori quando si ritiene di avere lo “scoop”, e dovere di un giornalista è dare le notizie quando ce le ha, se non fosse altro però che quella notizia pubblicata da Latina Oggi, la prima in cui si sosteneva che un’intera Giunta fosse stata indagata, non solo non era vera ma, in più, avrebbe prodotto un’indagine per rivelazione di segreto istruttorio a carico, con tutta probabilità, di un giornalista e di qualcuno che avrebbe rivelato su chi, su cosa e per quali ipotesi di reato (abuso d’ufficio, falso e lottizzazione abusiva) sta indagando il sostituto procuratore di Latina Giuseppe Miliano, l’inquirente della variante Q3.
Il contendere della querelle, tra chi (Latina Oggi) scriveva che ci fosse l’intera giunta del Comune di Latina indagata e chi (Il Messaggero) aveva riportato correttamente che invece la notizia non era interamente fondata (il Procuratore Aggiunto di Latina Carlo Lasperanza aveva parlato di “notizia non corretta”), si é infiammato quando il direttore di Latina Oggi aveva definito i colleghi di altri giornali o siti d’informazione come crocerossini in difesa di Coletta e dei suoi.
Così scriveva il direttore Panigutti: “Preso atto dagli articoli di Latina Oggi di essere finiti nella scomoda posizione di indagati per una sconcezza di variante che si ostinano a difendere (ndr: Sindaco e giunta di Latina), in Piazza del Popolo si sono affidati agli sminatori di fiducia per cercare di disinnescare la notizia e limitare i danni. Fatica sprecata”.
A tali parole non era seguita nessuna risposta da parte dei cosiddetti sminatori dell’informazione a favore di Coletta, e non ne è seguita alcuna anche dopo che il concetto di Panigutti è stato espresso da lui stesso con maggior forza, quasi a furor di Feltri (nel senso di Vittorio) con editoriale infuocato: “Sminatori e impreparati, prima cercano di destituire di fondamento la notizia e poi, senza rendersene conto, la accreditano. Succede alle penne amiche che hanno fretta di mostrarsi solerti, efficienti e fedeli. Stavolta è successo in casa de Il Messaggero di Latina, con un titolo che si arrampica sugli specchi, “Inchiesta Q3, giallo indagati”, e con un sommario che smentisce quel titolo, “aperto un fascicolo per violazione di segreto istruttorio”. Nella corsa forsennata per farsi belli con chi comanda, non si sono fermati un attimo a riflettere sull’abc della cronaca giudiziaria: per violare un segreto istruttorio vuol dire che è stata divulgata una notizia che esiste, ma che doveva rimanere segreta. Quindi se ne facciano una ragione nella redazione di Piazza del Mercato, il Sindaco e la giunta sono indagati. E non solo loro. Ma per loro, i nostri colleghi, la notizia che conta non è quella di un Comune che fa acqua da tutte le parti o di un gruppo di amministratori che nel migliore dei casi non sa neppure quello che combina (ma non è così), ma quella di un giornale concorrente che funziona e dà le notizie vere invece di oscurarle. A noi toccherà pure di dover affrontare un processo per aver violato un segreto istruttorio, ai colleghi, stavolta troppo solerti, lasciamo la spiacevole e difficile impresa di spiegare ai loro lettori per quale recondita ragione cassano le notizie e si scagliano contro chi invece le pubblica”.
Premesso che è auspicabile che qualsiasi giornalista fosse stato coinvolto nell’indagine per rivelazione di segreto istruttorio sia al più presto scagionato, avendo fatto a nostro avviso il suo mestiere (quello di dare le notizie, possibilmente fondate), mai si era vista, nella storia cittadina recente, una polemica così accesa, terreno finora appannaggio di politici prezzemolini opinionisti sul tutto che animano le cronache pontine, e portata avanti con veemenza da un giornale nei confronti di altri colleghi.
Il direttore accusa giornalisticamente i colleghi di non dare le notizie, di essere accondiscendenti con il potere attuale, di censurare il reale per eccesso di lingua. Dà lezioni di cronaca giudiziaria e conclude con la prospettiva che Il Messaggero debba “spiegare ai loro lettori per quale recondita ragione cassano le notizie e si scagliano contro chi invece le pubblica”. Una prospettiva, come fossimo in un girone dantesco, che si rivolta, da dettame del contrappasso, contro il direttore di Latina Oggi che, nel numero odierno del suo giornale, ha chiesto scusa alla Giunta, ma non ai suoi lettori. Pazienza.
Opinioni legittime, ad ogni modo quelle di Panigutti, se non fosse altro che in verità Il Messaggero si è limitato invece a fare il proprio mestiere, non per ingraziarsi Coletta e LBC, ma per fare luce su una notizia che, se fossimo tranchant come il direttore di Latina Oggi nei riguardi dei suoi colleghi, potrebbe essere definita una vera e propria fake news.
Quanto alle notizie oscurate, poi, sarebbe opportuno che chiunque faccia questo mestiere vedesse prima in casa sua, dal momento che nessuno è esente dall’errore o dalla volontà di non dare il giusto risalto alle notizie o, persino, come direbbe Panigutti, all’oscuramento.
Al di là dello scontro al calor bianco di Panigutti a cui va riconosciuta una puntuta azione di controllo nei confronti della giunta attuale, c’è anche da notare che mai le giunte Zaccheo e Di Giorgi hanno subito, se non saltuariamente, lo stesso tipo di efficace critica. Anzi. Per fare un esempio, basti pensare ai casi Galardo-Zaccheo (2009) o a Maiettopoli (2011-2016) che, prima delle roboanti indagini come Don’t Touch, Olimpia, Starter, Arpalo, aveva goduto comunque di buona stampa malgrado una realtà gravissima che solo chi non voleva vedere non vedeva.
Per quanto riguarda la notizia finalmente corretta e conclamata, i veri indagati per la variante Q3 sono equamente distribuiti tra parte politico-amministrativa e parte privata: per la prima l’assessore all’Urbanistica, Francesco Castaldo, e il dirigente di settore, Paolo Ferraro; per la seconda, coloro che hanno chiesto la presunta variante al Comune: l’imprenditore a cui fa capo la Green Building, Luigi Corica, e l’architetto progettista della medesima società, Viviana Agnani.
Non siamo nella sua testa ma possiamo ragionare su quale sia stata la ratio del pm Miliano. È facile desumere che il magistrato non abbia indagato l’intera giunta, come invece era stato prospettato per giorni da Latina Editoriale Oggi, per un motivo molto semplice e afferente a un episodio molto simile, se non identico, capitato circa quattro anni fa.
Siamo nel 2015 e siamo sempre nel campo dell’urbanistica e dell’edilizia.
Parliamo dell’arcinota variante Malvaso per la quale all’inizio vi fu, da parte dell’allora sostituto procuratore Capasso, un profluvio di avvisi di garanzia destinati alla parte politica dell’allora amministrazione Di Giorgi.
Il giudice Gregorio Capasso, che seguiva il caso, dopo la prima fase, ottenne una proroga dell’indagine la quale, peraltro, aveva portato già al sequestro della palazzina realizzata dall’allora consigliere comunale e costruttore Vincenzo Malvaso e che ancora dà il “benvenuto” a coloro che approdano a Latina dopo aver varcato la rotatoria di Borgo Piave venendo dalla Pontina.
Il magistrato notificò il relativo avviso di garanzia a 14 indagati, tra cui anche a 9 politici alcuni dei quali all’epoca assessori o che lo erano stati al momento della firma della delibera Malvaso.
Quindi, dopo che nella prima fase aveva indagato l’allora consigliere Malvaso, il dirigente dell’urbanistica dell’epoca Ventura Monti, i progettisti della variante Marco Paccosi e Fabio De Marchi, e l’ing. Antonio Petti, progettista e direttore dei lavori, Capasso procedette ad iscrivere nel registro degli indagati il sindaco Giovanni Di Giorgi, l’assessore all’Urbanistica Giuseppe Di Rubbo, l’assessore Marilena Sovrani e, poiché nel frattempo era intervenuto un rimpasto di giunta all’interno del variegato mondo del centrodestra, gli ormai ex della Giunta Fabrizio Cirilli, Orazio Campo, Rosario Cecere, Gianluca Di Cocco, Pasquale Maietta e, infine, Marco Picca. Una proroga, inoltre, che almeno per il sindaco Di Giorgi fu disposta in ragione dell’appartamento che l’allora primo cittadino di Fratelli d’Italia aveva acquistato da Malvaso prima dell’ok definitivo alla variante Piave.
Nello specifico, la variante Malvaso, come si scoprì in seguito, fu approvata dalla Giunta con la delibera 359 del 12 luglio 2012 (amministrazione Di Giorgi) e le indicazioni furono date dalla Commissione Urbanistica nel verbale 104 del 5 marzo 2009 (amministrazione Zaccheo) ossia, quando quel giorno, il presidente della Commissione, Ivano Di Matteo, era assente e fu sostituito proprio da Vincenzo Malvaso, in evidente conflitto d’interessi.
Non si ricordano le odierne e legittime prese di posizione del direttore Panigutti e di Latina Oggi, anzi all’indomani del consiglio comunale di giugno 2014 in cui si discuteva del caso Malvaso appena esploso con l’indagine di Capasso, né l’opposizione né la stampa tradizionale furono così dure quanto giustamente lo sono oggi. Forse se vi fosse stato lo stesso controllo e la stessa tenacia nel difendere le proprie tesi, ci eviteremmo ora politicanti ad ogni ora che discettano su qualsiasi cosa pur avendo in faretra disastri amministrativi del passato.
Tornando al parallelo quasi mimetico tra variante Malvaso e Q3, andiamo nel 2016.
A un anno di distanza dal sequestro della palazzina realizzata da Vincenzo Malvaso a Borgo Piave, dopo quasi due anni di indagini sul via libera a quella costruzione (delibera 359, cui seguì una delibera, la 391, che garantì agli indagati componenti della Giunta 10mila euro di soldi pubblici che si autofinanziarono per farsi redigere una parere pro veritate dall’avvocato Tedeschini di Roma) e con 14 indagati di cui 9 appartenenti a una giunta che aveva firmato la delibera 359, dalla Procura di Latina partirono le richieste di giudizio solo per sei indagati sui 14 summenzionati. Fu chiesto il processo per l’ex assessore all’urbanistica, Giuseppe Di Rubbo, l’ex consigliere comunale e costruttore Malvaso, l’allora dirigente comunale dell’urbanistica Ventura Monti, i tecnici comunali Marco Paccosi e Fabio De Marchi, e il direttore dei lavori Antonio Petti. Ossia furono processati, o lo saranno, solo la parte privata (Petti, e Malvaso nella doppia veste di parte privata e pubblica) e la parte politico-tecnico-amministrativa: Di Rubbo, Monti, Paccosi, De Marchi.
Quest’inchiesta e la seguente Olimpia portarono a complicati risiko nel centrodestra e a un giudizio pressoché unanime dell’opinione pubblica sull’era Di Giorgi-Maietta.
Inoltre, dalla variante Malvaso in poi, attraverso varie vicissitudini, si arrivò nel 2016 alla decisione, poi formalmente e di fatto presa dall’ex Commissario del Comune di Latina (a cavallo tra Di Giorgi e Coletta), di ridiscutere in toto l’urbanistica del capoluogo con la sospensione e il definitivo annullamento di sei piani particoleraggiati, tra cui quello di Borgo Piave dove ancora sorge la palazzina di Malvaso. Un annullamento dei piani che è croce e delizia dell’attuale amministrazione: delizia perché ci hanno fatto la campagna elettorale, croce perché ha prodotto il colpevole immobilismo odierno.
Per dovere di cronaca, in ragione dell’inchiesta e del processo Malvaso/Borgo Piave, l’ex consigliere comunale e imprenditore Vincenzo Malvaso e l’ex assessore all’Urbanistica Giuseppe Di Rubbo sono stati condannati, rispettivamente, a un anno e otto mesi e a un anno di reclusione. Entrambi sono stati processati con rito abbreviato, senza la costituzione come parte civile del Comune di Latina a marca LBC. Gli altri indagati, Monti, Paccosi, De Marchi e Petti, saranno giudicati nel processo con rito ordinario.
Dunque, nonostante il sostituto procuratore Gregorio Capasso avesse inviato 14 avvisi di garanzia, alla fine sotto processo finirono in sei, poiché gli altri otto, interrogati e in ragione di documenti presentati da quest’ultimi, furono esclusi dalle responsabilità di natura penale, portando la Procura a chiedere l’archiviazione.
Anche lì, come parrebbe ora con il caso Q3, il pm era convinto che la variante Piave fosse un abuso d’ufficio, trattandosi di variante sostanziale al Prg, che doveva passare dunque in Consiglio e non, come è avvenuto, essere semplicemente approvata in giunta. Per il magistrato, la modifica al piano urbanistico aveva portato notevoli vantaggi a Malvaso, ricorrendo anche a dei falsi. Ossia il falso, così come è contestato da Miliano nell’inchiesta Q3 del 2019.
Appare, quindi, del tutto corretta la decisione del sostituto procuratore Miliano di indagare solo i protagonisti politici e amministrativi del ramo urbanistico, Castaldo e Ferraro, e gli attori privati che effettivamente sono indicati come estensori della richiesta di variante in Q3, Corica e Agnani, proprio perché memore, questa decisione, dell’inchiesta Malvaso dove fu indagata una giunta intera che, evidentemente, all’epoca come oggi, ha solo delle responsabilità, non per questo da ignorare, politiche e non penali.
La responsabilità politica rimane eminentemente in capo al sindaco Coletta e agli altri componenti della Giunta che, non potendo interessarsi di tutto ed essere esperti dello scibile umano, devono necessariamente controllare ciò che firmano, sopratutto nel ramo complesso dell’urbanistica che ha portato tanti disastri nel passato e che, ancora oggi, a causa delle mancate politiche urbanistiche ellebiccine, è fonte di ferite a una città spolpata dalla speculazione edilizia.