Il Presidente del Sindacato degli Infermieri Italiani, Antonio De Palma, dopo la recente audizione che l’ha visto protagonista alla Commissione Sanità del Senato, sollecita con ancor più vigore le indispensabili e profonde modifiche a un disegno di legge estremamente lacunoso. Un ddl che, secondo il Sindacato, rischia di compromettere il valore e le potenzialità di una figura professionale che, al contrario, ha tutte le necessarie competenze e capacità per rimodernare ed ottimizzare il nostro sistema sanitario una volta per tutte
LA NOTA – “Così non va, inutile nasconderci: il Disegno di Legge 1346, sull’introduzione in Italia dell’Infermiere di Famiglia, va radicalmente cambiato nella sua impalcatura attuale, che ritengo estremamente mediocre”, esordisce Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up (ndr: Sindacato Infermieri Italiani). “Nella mia recente audizione alla Commissione Sanità del Senato, ho avuto modo di introdurre l’argomento dopo un’attenta analisi del testo di ddl, che la stessa Commissione aveva elaborato. Dai suoi enunciati ho evinto quanto mi è stato poi confermato da Senatori che ne hanno esplicitato gli intendimenti di fondo. Ancora una volta, la istituenda figura di “infermiere di famiglia” esce dal ddl profondamente svilita, perché ridotta ad una palese condizione di subalternità rispetto al medico di famiglia territorialmente competente. L’esercizio della sua professione prende forma – come si legge nel testo del ddl – esclusivamente nei limiti e nelle forme dell’assistenza domiciliare, altresì garantendo quella intermediarietà (oltreché deontologicamente scontata) tra paziente e medico di famiglia, apparendo al contempo deprivata della possibilità di utilizzare tutte le capacità, le abilità e le competenze di cui dispone.
E questa sua “compressione”, nel puro esercizio dell’assistenza domiciliare, troverebbe giustificazione – secondo gli intendimenti dei Senatori – nella necessità di ridurre le ospedalizzazioni, soprattutto di pazienti di età avanzata. Ma non è di certo “questo” Infermiere di Famiglia” di cui ha bisogno oggi il nostro Paese. Nulla quaestio sulla necessità di ridurre le ospedalizzazioni e gli accessi alle strutture pubbliche ma proprio per questo motivo la figura dell’infermiere di famiglia deve assumere una funzione polarizzatrice sul territorio offrendo tutti quei servizi infermieristici di cui qualsiasi paziente potrebbe in qualsiasi momento aver bisogno, senza dover ricorrere necessariamente all’ospedale. Questi servizi infermieristici non possono di certo ridursi a quello della sola assistenza domiciliare. Al contrario. Il SSN ha bisogno di una figura sanitaria cardine che operi, complementarmente e parallelamente a quella del medico di famiglia, nell’ambito dei servizi territorialmente garantiti sotto forma di assistenza primaria. Il che è tutta un’altra prospettiva rispetto a quella limitante e limitata dell’assistenza domiciliare. Il professionista infermiere di oggi – e questo vorrei ribadirlo ancora una volta ai Senatori della Commissione professionalmente noti come valenti medici del servizio sanitario nazionale – possiede tutto un alveo di competenze e di professionalità che già l’ordinamento italiano gli riconosce, nell’ambito delle quali la funzione di assistenza domiciliare rappresenta soltanto una piccola parte. Perchè, dunque, mortificare con un ddl del genere quella professionalità e quella competenza infermieristica comprimendola nella sola assistenza domiciliare ed in una oltremodo scontata tra paziente e medico di famiglia? Quale ventilata innovazione potrebbe mai rappresentare oggi per il SSN? L’infermiere di famiglia sul territorio potrebbe tranquillamente erogare tutti i servizi infermieristici di cui l’utenza potrebbe avvalersi al bisogno senza necessariamente erogare questi servizi soltanto sotto forma di assistenza domiciliare.
Vorrei chiedere, tra l’altro, agli stessi Senatori che hanno elaborato il testo: “Lo sanno che in Italia la figura di “infermiere domiciliare” già esiste e non costituisce di certo un’innovazione nel sistema? Lo sanno che quegli infermieri che svolgono la funzione di “infermieri domiciliari” già espletano la propria professionalità all’interno e nell’ambito di specifiche strutture delle aziende sanitarie spesso note con il nome di “CAD”? Forse questa distinzione tra infermiere di famiglia ed infermiere domiciliare ai Senatori non è ancora ben chiara. A che serve, quindi, una norma atta a confermare l’esistenza di una figura professionale già operativa? Infermiere domiciliare ed infermiere di famiglia costituiscono due funzioni professionali ben diverse, complementari ma distinte, senza alcuna commistione nè di competenze nè di qualsivoglia pasticciaccio tra i rispettivi ruoli. L’infermiere di famiglia, invece, alla luce delle competenze professionali acquisite soprattutto attraverso i percorsi formativi, è perfettamente dotato di tutte quelle capacità che gli consentono di diventare, complementarmente ed in parallelo con i medici di famiglia, figura cardine dell’assistenza primaria sul territorio. Non di certo figure cardini solo dell’assistenza domiciliare. Restringere alla mera assistenza domiciliare le più ampie funzioni e prerogative professionali dell’infermiere di famiglia, come invece il DDL 1346 intende fare, è grave ed ingessa irreversibilmente un sistema sanitario già allo stremo.
Come dunque la figura di infermiere di famiglia arrecherebbe il massimo vantaggio, oltre che profitto, al servizio sanitario nazionale? Attribuendogli la responsabilità di servizi infermieristici sul territorio, erogabili all’interno di presidi ambulatoriali infermieristici territorialmente competenti, che, una volta istituiti, assumano, tra le varie responsabilità e compiti, anche, ma non in via esclusiva, quello dell’assistenza domiciliare. Non soltanto, nella sua complementarietà, l’infermiere di famiglia non intaccherebbe la professionalità dei medici di famiglia, unici interlocutori dal punto di vista diagnostico strumentale, ma anche rafforzerebbe e completerebbe, attraverso l’erogazione di servizi infermieristici ambulatoriali, quell’insieme di prestazioni sanitarie che a livello territoriale un buon SSN dovrebbe assicurare.
Del testo del DDl – voglio ribadirlo adesso più che mai – c’è bisogno di profonde revisioni, a partire dall’inserimento di normative strutturali, capaci anche di creare un doveroso collegamento con quel Decreto Valorizzazione che ha già disposto il reclutamento di circa 9700 infermieri. Il rischio è che, senza una norma di coordinamento che indichi alle regioni i perimetri entro i quali devono stare per garantire l’assistenza infermieristica di famiglia ai cittadini, si rischia di vedere i colleghi neo assunti fare la fine dei “dilettanti allo sbaraglio”, infermieri assunti ed inviati sul territorio senza nessun vincolo di destinazione: praticamente alla mercé del fallace ed ormai sperimentato libero arbitrio delle Regioni. Chi ci garantisce, ad esempio con questo DDL, che non saranno utilizzati per coprire le gravi e consolidate esigenze strutturali degli organici ospedalieri?
Si dia ora e non domani, la possibilità concreta all’ infermiere di famiglia di essere fino in fondo quello che le sue potenzialità professionali prevedono, e cioè l’essere leva fondamentale per un cambiamento radicale e positivo per il nostro sistema sanitario. Non si perda l’opportunità di corroborare questo disegno di legge con le doverose modifiche che noi abbiamo proposto, affinché si trasformi “in un progetto nazionale di coordinamento strutturale entro il quale rendere operativi gli infermieri di famiglia sul territorio”: una buona legge può creare quel perimetro fondamentale di regole, poche, semplici, lineari e concrete che ora manca, ed entro il quale dovrà realizzarsi il rapporto tra l’infermiere di famiglia assunto grazie al Decreto Valorizzazione, le pubbliche istituzioni ed i cittadini , come d’altronde già avviene per il medico di famiglia.
Insomma, serve un provvedimento di livello nazionale, che garantisca in maniera uniforme a tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla Regione di residenza, la possibilità di beneficiare dell’assistenza degli infermieri di famiglia (ivi inclusa quella dell’assistenza domiciliare) in apposite strutture ambulatoriali dislocate sul territorio: cosa non è di certo garantita dalla mera applicazione delle norme contenute nel Decreto Valorizzazione.
Ci vuole un provvedimento che definisca l’alveo o convenzione entro la quale dovrà essere organizzata contrattualmente l’attività di questo professionista e dove saranno regolati i compensi dovutigli. Ci vogliono norme di integrazione della vigente normativa che, anche partendo dalla disciplina già prevista per i medici di medicina generale, chiarisca che l’infermiere di famiglia si occupa di garantire, nell’ambito dell’assistenza primaria e quindi sul territorio, l’intero alveo di prestazioni professionali delle quali è titolare secondo la legge, attività da svolgere non solo al domicilio del cittadino, come invece prevede fallacemente il DDL 1346.
I Senatori della 12esima Commissione facciano la loro parte: basta con le chiacchiere, le posizioni di facciata. Basta con la politica esercitata da professionisti medici di tutt’altra formazione, i quali, impegnandosi in politica, da una parte sembrano assumere una posizione di oggettiva terzietà mentre dall’altra sollevano subito gli scudi quando gli si ricorda che l’infermiere di famiglia non è il “segretario del medico” e che il suo mandato professionale prioritario non può di certo riassumersi in un tramite tra medico di famiglia e cittadino né, tanto meno, quello di riferire al medico le doglianze dei pazienti assistiti a domicilio. L’infermiere di famiglia è ben altro, esimi Senatori e, prima di mettere penna su carta con disegni di legge inutili e poco efficaci, rivolgo l’invito a dare un’occhiata a tutta la vigente normativa riguardante gli infermieri professionali.
Insomma, siamo stanchi di un Governo che parla, annuncia, ma poi è latitante sotto tutti i punti di vista nei confronti dell’infermiere italiano. I cittadini e il personale sanitario non hanno bisogno della “politica delle chiacchiere non seguita dai fatti”: si comprenda oggi più che mai, continua De Palma, che l’infermiere di famiglia rappresenta la figura di un professionista che, in base alla vigente legislazione, ha il diritto/dovere di garantire un insieme straordinario di attività, anche innovative, che possono contribuire al concretizzarsi di miglioramenti radicali come, solo ad esempio, contribuire ad evitare ricoveri impropri, ridurre liste di attesa, con questo avvicinando l’organizzazione assistenziale ai cittadini.
Insomma, ora basta con un assetto sanitario “medico-centrico”! Si apportino le modifiche che chiediamo e si crei quell’alveo contrattuale-strutturale nel quale inserire la figura dell’infermiere di famiglia, affinché possa svolgere realmente le funzioni straordinarie per cui è stato voluto, con risultati auspicabilmente di gran lunga superiori a quelli di altri Paesi europei in cui tale figura professionale è già presente da tempo ed operativamente essenziale.
Prima che sia tardi occorre apportare a questo DDL modifiche radicali, affinché non diventi un boomerang, ovvero un ulteriore ostacolo alla crescita del già carente sistema di cui disponiamo.
Alla sanità italiana serve multidisciplinarietà, condivisione, interazione tra le figure professionali e non professionisti di nome ma sudditi asserventi nei fatti. Sissignore, conclude De Palma, per noi infermieri solo in questo modo una organizzazione sanitaria che ha al centro del suo progetto il cittadino, potrà guardare al futuro con legittima serenità”, conclude De Palma.