E quando il sole sorge abbiamo paura che forse non resterà
Quando il sole tramonta abbiamo paura che forse non si alzerà domattina
Quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura dell’indigestione
Quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura di non poter mai più mangiare
Quando siamo amate abbiamo paura che l’amore svanirà
Quando siamo sole abbiamo paura che l’amore non tornerà
E quando parliamo abbiamo paura che le nostre parole non verrano udite, o ben accolte.
Ma quando stiamo zitte, anche allora abbiamo paura.
Perciò è meglio parlare, ricordando, che non era previsto che noi sopravvivessimo.
Audre Lorde. D’amore e di lotta
LA PAURA HA VINTO
Senza accorgercene, protetti come siamo dalla nostra bolla di borghesia occidentale, la paura si è insinuata nella nostra società.
Ma paura di cosa esattamente?
Paura di perdere ricchezza, paura che la nostra società crolli sotto i colpi di un mondo complesso e indecifrabile come è la società aperta, paura dei furti, paura delle rapine e, ultime arrivate e indesiderate, paura del virus e paura degli untori.
Tutte paure che abbiamo personificato e trasformato in capri espiatori per non analizzare le storture della nostra società, quello sì che ci farebbe male:
immigrati, barboni, poveri, percettori del reddito di cittadinanza, rom, i cinesi untori e per ultimi i runner che ci infettano correndo in solitudine.
La paura è uno sfogo in cui confluiscono rabbia e ansie provenienti da altre timori, che però avrebbero bisogno di un’ampia riflessione che non ci possiamo permettere.
Allora ecco che l’estraneo è un possibile asintomatico, l’immigrato ci ruba il lavoro, il barbone genera “degrado” e lo straniero diventa il nemico.
Da qui parte la strenua difesa dell’identità, della patria in senso novecentesco, delle tradizioni e della cultura.
Un comportamento difensivo contro un assediante inesistente, proprio come la lotta politica contro un’invasione che non c’è nei numeri oppure la mancata analisi del problema sociale che genera i clochard, sostituita da una battaglia contro il “degrado urbano”.
QUALCUNO ALIMENTA IL CIRCOLO DELLA PAURA?
“A Chicago hanno trovato una donna che detiene il record. Ha usato 80 nomi, 30 indirizzi, 15 numeri di telefono per raccogliere i buoni pasto, la previdenza sociale, i sussidi per quattro mariti veterani deceduti inesistenti. Il suo reddito in contanti, esente da tasse, è stato di 150mila dollari l’anno”.
Durante la corsa presidenziale del 1976, Ronald Reagan trovò il capro espiatorio perfetto, le Welfare Queen.
Donne nere, mostri sempre incinta che, prive di qualsivoglia coscienza, sottraggono soldi ai bianchi che versano le tasse e in più fanno circolare droga e povertà nelle metropoli americane. Basterà questo per imporre tagli al welfare e austerity? Ovviamente sì.
Visti i precedenti è logico pensare che ovviamente la paura è un’emozione umana, ma, in qualche modo, se indotta può essere utile per scopi politici.
D’altronde nell’epoca moderna i cittadini chiedono sicurezza allo stato, e la politica non può fare altro che approfittare della situazione, senza però riuscire a mantenere le promesse.
Gli anglosassoni definiscono questo fenomeno come Security State, cioè lo stato che si riduce a mero amministratore della sicurezza e fomentatore del business della paura.
Sì perché la paura è un business, un business elettorale.
Siamo nell’epoca della disaffezione alla politica, se le persone non provano più coinvolgimento emotivo e allora la politica deve trovare un modo per far schierare i cittadini depoliticizzati, quale ricetta migliore della paura?
E così succede che le nostre paure individuali si sommano alle paure dei capri espiatori, indotti dal politicante di turno e, sotto scroscianti applausi, ci sottomettiamo allo stato di sicurezza.
NEI CENTRI URBANI LA PAURA DIVENTA DELAZIONE
Ma quale è il collegamento tra la paura e la pandemia?
Vittime della delazione: tossici e poveri che, non avendo un posto dove andare, continuano a vivere per strada.
In un periodo di quarantena, il barbone se cerca cibo nella spazzatura viola la quarantena e magari è anche un untore.
La paura del virus fa diventare il miserabile nemico perchè infrange le regole e mette a repentaglio la salute e la sicurezza di tutti.
Il Security State made in Latina, la paura che prende forma e ci sconfigge, ci sottomette.
LA SOLUZIONE ESISTE MA NON LA USIAMO
Ma tutte queste paure possono essere sconfitte? Ovviamente sì.
La paura è lo stadio iniziale del coraggio, il coraggioso infatti ha avuto paura ma ha continuato ad agire convivendo con la stessa.
Quindi dobbiamo imparare a convivere con le nostre paure e quelle indotte dalla politica, cercando soluzioni alternative al Security State, ma come?
L’analisi di Francesca Coin, sociologa dell’Università di Lancaster, può aiutarci.
Secondo la scienziata infatti, spesso il capro espiatorio delle nostre paure sociali è una vittima che subisce la condanna soltanto per apparenti indizi connessi con le cause delle storture del sistema.
La risposta a questa crisi della paura, è davanti a noi ma non l’abbiamo vista, quindi non la usiamo.
Il senso critico e l’analisi dei dati possono aiutarci a contrastare il business della paura, ma purtroppo non chiediamo il loro intervento.