CASSA FORENSE NEGA MATERNITÀ: AVVOCATA DI FORMIA RISARCITA

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indennità maternità

Una piccola storia di ingiustizia per una professionista (avvocata) e madre che opera a Formia conclusa con un lieto fine: ma quanta fatica per vedersi riconosciuto il diritto alla maternità

L’Italia è un Paese in cui le donne da sempre fanno fatica a combinare il lavoro con la dimensione di madre. Lo dicono svariate statistiche, studi, prospetti in cui si indica che se non avessimo una forza lavoro femminile a cui sono scarsamente applicati i diritti anche il nostro prodotto interno lordo ne gioverebbe. La storia, questa volta, riguarda una donna di 40 anni, originaria di Santa Maria Capua Vetere, che svolge la professione a Formia ed è iscritta all’Ordine degli Avvocati di Latina.

L’avvocato Daniele Lancia

I FATTI – Difesa dai colleghi Daniele Lancia e Angela Fleri, l’avvocata nel luglio 2011 chiede l’iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense. Passano anni, nello specifico tre, e la donna non riceve nessuna risposta dalla Cassa fino all’ottobre 2014 quando, finalmente, le rispondono comunicandole l’avventa iscrizione. Meglio tardi che mai, con tutte le criticità del caso che di certo non hanno agevolato una professionista. Intanto, come è naturale che sia, la vita era andata avanti e la donna aveva dato alla luce due bambini, ad agosto 2011 e a febbraio 2013. Per tale ragione l’avvocata, nel 2014, dopo l’attesa estenuante di ben tre anni per avere la conferma di essere iscritta alla Cassa, chiede alla stessa ciò che le spetta di diritto: l’indennità di maternità. Una conquista che tutte le donne che lavorano hanno o dovrebbero avere. E, infatti, a non pensarla così è la Cassa che le risponde rigettando la domanda dal momento la richiesta per l’indennità materna è stata presentata oltre il termine di 180 giorni dal parto (in questo caso dai due parti). Vero, con un “però” grosso come un intero Tribunale, almeno quanto quello di Santa Maria Capua Vetere Sezione Lavoro e Previdenza allorché, lo scorso 2 marzo, il giudice Federica Ronsini ha pronunciato sentenza favorevole nei confronti dell’avvocata madre di due bambini.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

ECCO I MOTIVI DELLA SENTENZA – Se è vero che la presentazione della domanda per fruire dell’indennità di maternità deve avvenire da parte delle libere professioniste entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data del parto (artt. 70 e 71 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151), e nel caso di specie l’avvocata ha presentato la relativa domanda il 20 novembre 2014, quindi a distanza di tre anni dal primo parto (avvenuto l’1 febbraio 2011), va tuttavia rilevato – si legge nella sentenza – che la decadenza in cui è incorsa la ricorrente non è a lei imputabile: è agli atti che in data 21/07/2011 è stata inoltrata richiesta di iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, riscontrata da quest’ultima solo con nota del 24/10/2014, con cui è stata comunicata l’avvenuta iscrizione con delibera del 21/11/2013 e con decorrenza dal 01/01/2011.

È, infatti, la Cassa ad aver provveduto con notevole ritardo all’iscrizione dell’avvocata, né vale ad escludere tale tardività la circostanza che la Cassa avesse già provato precedentemente a notificare il provvedimento d’iscrizione alla ricorrente, senza buon esito tuttavia, atteso che la missiva ritornava al mittente per indirizzo errato: difatti, secondo quanto lo stesso Ente ammette in memoria, la prima lettera non notificata era del 25.11.2013, di data quindi comunque successiva a quella di entrambi i parti e comunque quando i 180 giorni da essi erano già decorsi, con la ovvia conseguenza che al momento delle nascite in questione, avvenuti in data 01/08/2011 e 08/02/2013, l’iscrizione della ricorrente non era stata neanche deliberata dalla Cassa Forense. Dunque, per il ritardo nella trasmissione delle domande di indennità, avvenute immediatamente dopo la comunicazione di iscrizione alla Cassa, l’avvocata non può che considerarsi incolpevole.

Corte di Cassazione, Roma
Corte di Cassazione, Roma

Vieppiù, è una sentenza della Suprema Corte di Cassazione,la n. 24705 del 2007, ad essere richiamata dal Giudice del Lavoro di Santa Maria Capua Vetere: “Nella sentenza qui impugnata il Tribunale ritiene che l’iscrizione tardiva e retroattiva alla Cassa di previdenza rimetta in termine l’assicurato per l’esercizio di diritti soggettivi estinti per decadenza. Questa tesi, che potrebbe avere una plausibilità nei casi in cui il titolare del diritto sia incorso nella decadenza per causa a lui non imputabile ossia sottratta alla sua sfera di controllabilità (in tal senso è la più recente giurisprudenza costituzionale in materia di decadenza da situazioni soggettive processuali per tardiva notifica di atti), è certamente priva di fondamento alla stregua del più volte citato art. 22 L. n. 576 del 1980, che configura la mancata domanda di iscrizione alla cassa, in presenza dei requisiti, come inadempimento di un obbligo e non semplicemente come omesso assolvimento di un onere….

IL RISULTATO FINALE – In soldoni, un avvocato chiede iscrizione alla cassa forense e, nel frattempo che l’ente previdenziale deliberasse l’iscrizione (3 anni di attesa), l’avvocata partorisce 2 figli.
Una volta ricevuta la comunicazione dell’avvenuta iscrizione con la richiesta di versamento dei contributi pregressi, ovvero dalla data della domanda di iscrizione, l’avvocata procede a richiedere l’indennità di maternità che la cassa forense ritiene di non poter accogliere poiché ormai tardiva. Talché l’avvocata è costretta a rivolgersi al Tribunale al fine di tutelare il diritto alla maternità che il medesimo Tribunale di Santa Maria Capua Vetere riconosce sulla base del presupposto che la Cassa non avrebbe potuto contestare la tardività della domanda quando è l’Ente previdenziale medesimo ad aver deliberato l’iscrizione con oltre due anni di ritardo.

L’epilogo positivo per l’avvocata/madre è il danno che il giudice del lavoro Federica Ronsini le ha riconosciuto per una cifra di circa 10mila euro.
La domanda, come diceva quel tale, però, sorge spontanea: non sarebbe stato sufficiente, da parte della Cassa forense, un po’ di buon senso in più nei confronti di una professionista che ha dovuto ricorrere al Tribunale per farsi riconoscere un diritto sacrosanto come quello alla maternità?

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