“Riflessione politica di fine anno. Politica, partecipazione e democrazia dal basso”, l’intervento del segretario del PD di Fondi, Lorenzo Cervi
“Qualche giorno fa, nel Consiglio Comunale di Fondi, si è tenuta la sessione sul Bilancio, l’atto più importante per un’amministrazione. Nello spazio delle sedie blu dedicato al pubblico c’eravamo solo io e un signore. E basta. La stessa scena si ripete in tutte, dico tutte, le sedute del Consiglio Comunale.
Questo è certamente solo uno spaccato dell’ormai evidente assenza di partecipazione alla vita politica della nostra città. Ma è lo spaccato più visibile, pubblico, sotto gli occhi di tutti.
Di fronte a uno svuotamento, a un’erosione così evidente della partecipazione democratica cittadina, non trarre le dovute conclusioni da parte della classe politica è, a mio avviso, sbagliato se non addirittura irresponsabile. La nostra città è sempre stata ricca e fiorente dal punto di vista politico, sia per partecipazione sia per qualità del dibattito pubblico. I cittadini si sentivano coinvolti perché la politica coinvolgeva i cittadini.
Hanno fatto un deserto politico e lo hanno chiamato “consenso consolidato”. Sezioni di partito, associazionismo impegnato, una pluralità di organi di informazione, amministratori presenti nel territorio, sindacati all’ascolto: sono solo alcuni degli elementi che hanno contribuito a una sana partecipazione democratica.
È storia italiana, non solo della nostra città. Penso quindi abbia ragione Luciana Castellina quando afferma che l’unico modo per salvare la nostra democrazia – quindi la partecipazione – e per combattere l’indifferenza (secondo la categoria gramsciana) e l’astensionismo, sia ripartire dal basso.
Una democrazia dal basso per far riemergere la voce degli esclusi dalla politica istituzionale e per costringere quest’ultima a scendere dal piedistallo sul quale si è autorelegata. Rischiamo, nel lungo periodo, di vivere in democrazie fittizie, quasi feudali, dove chi decide davvero – quindi chi vota e influisce sulle scelte dell’oggi – è sempre più ristretto: pochi, per pochi e con pochi.
Con pattuglie organizzate o radicalizzate che finiscono per influenzare una maggioranza che, di fatto, non sceglie. Per contrastare questo fenomeno epocale, questo vero dramma di civiltà, non servono regole calate dall’alto (come il voto obbligatorio) né invettive paternalistiche. Serve la politica vera. La politica, quella autentica, è l’unico antidoto al veleno che infetta la nostra democrazia, a tutti i livelli.
La politica non deve tradursi soltanto in una gestione grigia dell’esistente, ma tornare a essere ordinatrice di senso nella società, forza capace di trasformare la realtà. Ridare senso alla politica. Una politica di prospettiva, di lungo periodo, con profondità di analisi. Allo stesso tempo deve recuperare autorevolezza, non l’illusione della potenza. Come militante politico e, prima ancora, come cittadino, penso che servano poche ma incisive azioni per fare davvero la differenza.
Abbiamo bisogno di partiti politici che abbandonino questa strana e antisociale liquidità, questa informalità che demanda ad altri il compito – che dovrebbe essere proprio – di dare un ordine di senso. Non servono partiti che abdichino al loro ruolo di corpi intermedi, riducendo tutto al rapporto diretto tra leader e cittadini-elettori.
Le sezioni di partito servono a creare comunità organizzate intorno a progetti collettivi, capaci di migliorare l’esistente rendendolo reale e vissuto. Dobbiamo superare l’idea del cittadino come semplice consumatore del favore del politico o della forza politica di turno, e tornare a renderlo consapevole del fatto che è egli stesso ordinatore del sistema che lo governa.
Abbiamo bisogno che l’associazionismo riacquisti il suo ruolo di corpo intermedio all’interno delle comunità che viviamo. Non un’aggiunta marginale al corpo sociale, ma una vena nella quale possa scorrere il sangue della città. Non come sostituto dei partiti o rifugio degli esclusi, ma come sintesi di mondi, competenze e specialità da far emergere.
Abbiamo bisogno di sindacati che sappiano ascoltare un mondo del lavoro che è già cambiato, adeguandosi alla nuova struttura sociale del Paese.
Sindacati capaci di trovare uno spiraglio tra le ferite di una società ancora diseguale e frammentata, che ha bisogno di protezione. Serve un sindacato partecipe della vita collettiva, desiderabile per il suo aiuto ed efficace nella sua azione. Abbiamo bisogno che i cittadini si riabituino alla democrazia, come a una sana abitudine che si è persa, anestetizzata dal tempo.
Ecco perché la partecipazione dal basso – attraverso assemblee consultive di quartiere o il bilancio partecipativo – può essere un punto di partenza. Così come forme di democrazia economica: dalla partecipazione dei lavoratori alle decisioni manageriali, alla distribuzione di una parte degli utili, passare per la rigenerazione delle imprese.
In sintesi, serve restituire alla politica il suo ruolo di ordinatrice della società e del senso collettivo, libera – per quanto possibile – da interessi e interferenze, capace di guidare i processi sociali senza esserne succube. Una politica che incida davvero sulla vita delle persone. La sinistra deve farsi carico di questa battaglia, che è prima di tutto una battaglia di civiltà. Lasciando alla destra la paura e la conservazione, e assumendo la speranza come motore di battaglie politiche capaci di trasformarsi anche in consenso elettorale”.
Così, in una nota, il segretario del Partito Democratico di Fondi, Lorenzo Cervi.
