ABUSI SESSUALI SULLA FIGLIA DELLA COMPAGNA, L’IMPUTATO: “SCHIFO PER IL PENSIERO CHE MI HA SFIORATO. MERITO IL LORO DISPREZZO”

violenza sessuale

Accusato di aver abusato sessualmente della figlia della compagna a Sermoneta: prosegue il processo per un quarantenne

È accusato di aver abusato sessualmente della figlia dodicenne della compagna. I fatti sono molto recenti, avvenuti lo scorso gennaio 2025, tanto da far richiedere alla Procura di Latina la misura cautelare dei domiciliari, successivamente emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Giuseppe Cario.

L’indagine per violenza sessuale aggravata è stata condotta dai Carabinieri della Stazione di Sermoneta. L’uomo, D.B. (le sue iniziali), 42 anni, difeso dagli avvocati Luigi e Donato Pescuma, aveva risposto lo scorso marzo alle domande del Gip Cario nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia.

Il 42enne avrebbe parzialmente ammesso alcuni comportamenti avuti. Al momento, si trova agli arresti domiciliari. I fatti contestati, secondo l’accusa, sarebbero stati commessi dall’uomo nell’auto con la figlia della compagna, con cui viveva a Sermoneta. La donna (con la quale l’imputato ha avuto un figlio), dopo quanto emerso, ha interrotto ogni tipo di rapporto. Approfittando dell’assenza della donna per motivi di lavoro, l’uomo, secondo la Procura, avrebbe abusato della bambina, facendole avance e tentando di toccarle le parti intime.

Oggi, 3 dicembre, l’imputato ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, spiegando che nella scorsa udienza dello scorso 14 ottobre è andato nel pallone. L’uomo ha ammesso che quella notte in cui era andato al cinema a Roma con la minorenne, figlia della sua compagna, aveva avuto, una volta fermatisi al ritorno dalla Capitale in un luogo isolato, “un senso di libidine. Avevo una malsana idea. Le ho chiesto di farmi massaggi alle gambe e lei ha detto che me lo avrebbe fatto il giorno dopo”. L’uomo ha dichiarato che, appartato in un posto oscuro e senza luci con la minorenne, aveva le cerniera e i pantaloni abbassati: “Le chiesi di andare giù, ma la ragazza si è ritratta. Ho realizzato in quel momento che nefandezza mi aveva sfiorato. Non mi sono masturbato, ero eccitato e mi sono vergognato della porcheria che avevo pensato di fare”. L’uomo ha ribadito che forse quell’eccitamento era stato provocato da alcuni sticker inviati dalla ragazzina quando si trovavano a cena per mangiare sushi. Uno di questi sticker ritraeva un uomo con il membro di fuori.

“Nel tragitto di ritorno verso casa, non riuscivo a capire come mai mi fosse venuto in mente una cosa del genere. Nei giorni successivi, mi vergognavo con me stesso e non incrociavo gli occhi di quella che consideravo come fosse mia figlia. Dopo pochi giorni, ho chiesto di essere perdonato e ho chiesto scusa per la mia nefandezza. Mi facevo schifo per quel pensiero che mi aveva sfiorato. Se non mi perdoneranno mai, non le posso biasimare, merito il loro disprezzo. Dopo l’episodio, mi sono rivolto a uno psicoterapeuta e sono tuttora sotto cura”.

Una dichiarazione spontanea drammatica nel corso della quale l’imputato, più volte, ha chiesto scusa e ha trattenuto a stento le lacrime. Dinanzi al primo collegio del Tribunale di Latina, composto dai giudici Soana-Sinigallia-Brenda, oggi, 3 dicembre erano presenti anche il pubblico ministero Giuseppe e i genitori della vittima che, tramite l’avvocato Maria Teresa Fiore, si sono costituiti parti civili. Il difensore dell’uomo, attualmente disoccupato, ha rinunciato a esaminare come teste la ragazzina, facendo acquisire al Tribunale il verbale dell’interrogatorio reso dalla medesima giovane ai Carabinieri, alla presenza di una psicologa.

Ad essere ascoltato come primo testimone di giornata è stato lo psicoterapeuta dell’imputato che ha confermato di come il 42enne sia ancora in cura da lui: “Il paziente ha vissuto un processo dissociativo transitorio”, ha detto lo psicologo. In quel momento, quando si trovava appartato con la ragazzina, era incapace di intendere e volere”. Una prospettazione contestata dal pm Aiello che rivolto domande allo psicologo, facendo emergere che l’incapacità di intendere e volere deve essere certificata da un medico o giuridicamente.

Dopo lo psicoterapeuta, sono sfilati altri quattro testimoni della difesa, tra cui l’ex moglie, un amico molto stretto dell’imputato, il padre e la madre di quest’ultimo che, interrogati dagli avvocati, hanno fatto emergere un rapporto di normalità tra l’imputato, la sua ex compagna e la dodicenne considerata vittima degli abusi sessuali. Risposte dopo per le quali né il pubblico ministero, né l’avvocato di parte civile hanno voluto svolgere il contro-esame.

Il processo è stato rinviato al prossimo 14 gennaio. La difesa avrebbe voluto ascoltare gli ultimi tre testimoni della difesa, tra cui una minorenne, amica del cuore della vittima. Il Tribunale, però, ha revocato questi testimoni, al che la difesa ha chiesto di acquisire uno screenshot, estratto dallo stato “social” della vittima. Nella data di rinvio, il Tribunale deciderà se chiudere l’istruttoria o escutere la suddetta minorenne.

UDIENZA DEL 14 OTTOBRE – Ha iniziato le testimonianze i comandante della Stazione dei Carabinieri di Sermoneta che ha spiegato di aver ricevuto la notizia di reato dal preside della scuola e che i fatti oggetto del processo sarebbero avvenuti all’interno dell’auto intestata all’imputato. L’uomo, secondo gli approfondimenti dei Carabinieri, si è recato prima a Roma a mangiare il sushi e infine al cinema in compagnia della vittima. Il mezzo fu fermo, secondo i rilevamenti dei Carabinieri tramite Gps, è stata ferma una mezz’ora davanti al cinema, dopodiché seguendo il percorso dell’auto, i due, deviando il percorso, si sono appartati vicino a un casale abbandonato rimanendo fermi una ventina di minuti. Alla fine tornarono a casa dopo le due di notte. I Carabinieri, tramite Gps, hanno tracciato tutto il percorso dell’auto, comprese le tappe effettuate dal mezzo.

Il secondo testimone ascoltato è stato il dirigente scolastico che ha segnalato ai Carabinieri di quanto venne a conoscenza in quanto l’alunna e vittima dell’abuso aveva confidato alla professoressa il turbamento per un episodio avvenuto qualche giorno prima. Due giorni dopo, preside e professoressa hanno incontrato la madre della ragazzina mettendola al corrente della situazione.

A testimoniare anche la professoressa che ha riferito di come la ragazzina la fermò e le confessò piangendo che era successo qualcosa di grave. La donna ha spiegato che la ragazzina le raccontò che stava tornando a Roma dal cinema con il compagno della madre e, sulla via del ritorno, si erano fermati in un luogo di campagna per riposare. Si sarebbero sdraiati sui sedili dell’auto e il compagno della madre, da steso, si sarebbe abbassato i pantaloni e le avrebbe chiesto un massaggio alle gambe. Dopodiché l’uomo si sarebbe girato su un fianco e preso il cellulare della bambina: “Se lo rivuoi devi venire te a prenderlo”, avrebbe detto l’uomo alla ragazzina.

Il 42enne avrebbe tentato di avvicinarsi e lei si sarebbe messa a piangere. Solo dopo, la vittima avrebbe avuto la sensazione che l’auto si muovesse e, secondo la ragazzina, l’uomo si sarebbe masturbato, sebbene non abbia mai utilizzato il verbo “masturbare”. Una deduzione tratta dall’adulto. Secondo la professoressa, il racconto sarebbe realistico, tanto da trovare il modo per riferire tutto alla madre. Cosa che avvenne più tardi. La professoressa informò preside e psicologa dell’istituto, oltreché alla coordinatrice della classe.

Preside e professoressa ritennero che la ragazzina e la madre dovessero avere un confronto in un ambiente protetto nel quale la figlia raccontò tutto, dopo un primo smarrimento. La ragazzina raccontò che l’uomo le spinse la testa sulle parti intime e di aver sentito dei gemiti da parte dell’uomo: una respirazione insistente. Il pubblico ministero ha chiesto alla professoressa se la ragazzina avesse motivi di antipatia nei confronti dell’uomo. La docente ha risposto che no, non c’erano ragioni di possibile astio.

Successivamente, è stata ascoltata la madre della dodicenne che ha raccontato di come fu chiamata dalla professoressa e dal preside e di come le riferirono ciò che la figlia aveva raccontato. La madre, che ha avuto una relazione con l’imputato dal 2021 e ha avuto con lui una bambina, ha aggiunto che nell’incontro la professoressa raccontò che l’ex compagno avrebbe tirato fuori il suo membro e chiesto alla ragazzina un rapporto orale. La figlia, secondo la madre, confermò “in toto” il racconto fatto dalla professoressa: “Ancora oggi mia figlia è turbata. Fino a quel giorno avevo fiducia nel mio compagno. Ero incredula e sconvolta e parlai direttamente con lui che negò tutto, ma, dopo pochi giorni, mi chiamò al telefono, confessò e disse di sentirsi in colpa. Ha chiesto perdono a tutti, ma ha ammesso ciò che aveva fatto”. Il giorno dopo che madre e figlia sono state in Procura, il patrigno le avrebbe inviato un messaggio di scuse. La madre ha raccontato che stanno seguendo un percorso di recupero: “Non è per niente facile riprendersi”.

Come testimone, è stata ascoltata anche la consulente psicologa Gabriella D’Errico che ha redatto la perizia sulla ragazzina. Secondo la specialista, la minorenne risulta capace di raccontare ed è cosciente: “Racconta e ricorda bene, senza essere suggestionata”. Non vi alcun dubbio sulla minorenne: “Non ha alterato la realtà dei fatti”. La stessa consulente ha suggerito un percorso psicologico, dal momento che la ragazzina è provata e destabilizzata e va aiutata.

Da ultimo, è stato interrogato l’imputato che si è voluto sottoporre all’esame del pubblico ministero, della parte civile e, naturalmente, della difesa. Il 42enne ha ripercorso il giorno della contestata violenza, confermando di essere andato a Roma per il sushi, il cornetto e il cinema. “Tornando da Roma, dopo Aprilia ho preso la deviazione per Campoverde e sono arrivato a Borgo Santa Maria, mi sono fermato e ho urinato. Tornato in auto, ho tolto il cellulare dalla ragazzina rimproverandola perché era tardi. Al che, lei ha ripreso il cellulare e io l’ho trattenuto per la spalla. Lei si è tirata indietro e io ho acceso la macchina e siamo tornati a casa”. Il pubblico ministero gli ha contestato che, vicino a quel casale abbandonato, risulta che l’auto è stata ferma 13 minuti: un tempo spropositato. Un’altra contestazione è stata quella della rilevante deviazione fatta dalla SS Pontina rispetto alla direzione di casa: venti minuti di auto per andare ad urinare. “Non me lo so spiegare perché ho fatto questo. Sto facendo un percorso da psicologo per capire come mai ho fatto quella deviazione”. Poi ammette: “La mia cerniera era rimasta aperta a metà”. In realtà quando fu interrogato dal giudice per le indagini preliminari, il pm ricorda che “lui stesso aveva detto di aver avuto una sensazione di libidine e eccitamento. Quando sono risalito in macchina ho visto la ragazzina e ho preso il telefono”. L’imputato ha detto in aula: “Non volevo farle niente di male”.

Il pubblico ministero ha incalzato l’imputato ricordando cosa aveva detto al Gip nel corso dell’interrogatorio. L’uomo avrebbe abbassato la testa della ragazzina. È lui stesso nell’interrogatorio ad aver ammesso di averla direzionata verso le parti intime, pur avendo avuto un ripensamento: “Ma non ricordo cosa volessi fare”. L’imputato è stato evidentemente in difficoltà nel corso dell’esame, ma ha negato di essersi masturbato.

Dopo il fatto, l’imputato ammette di essersi scusato per ciò che era successo: “Mi sono sentito in colpa del gesto di trattenerla che avevo fatto nei confronti della ragazzina. Mi sono scusato anche perché la ragazzina era rimasta terrorizzata”.

Interrogato dal difensore, l’imputato spiega che mentre mangiavano sushi, la ragazzina le mandò degli “sticker” sul telefonino raffiguranti persone dal viso deformato col membro di fuori: “Le chiesi perché mi inviava questo e lei si mise a ridere”. L’imputato ammette: “Avevo quella sensazione di libidine e sto andando dallo psicologo per capire perché. In quei dodici minuti in cui siamo stati fermi al casale abbandonato, ho urinato, sono tornato in auto con la cerniera abbassata. La ragazzina mi ha preso il telefono e io l’ho trattenuta. La mia sensazione era quella di avvicinarla alle parti intime, ma non ho fatto forza. È durato tutto tre secondo, poi mi sono reso conto di ciò che stavo facendo, ho acceso la macchina e siamo tornati a casa”. Al momento, “sto facendo un percorso psicologico, dopo circa cinque giorni dal fatto ho iniziato. In casa, avevo visto in casa nuda la ragazzina. In quei momenti non la guardavo, ero imbarazzato e dicevo alla mamma di dire alla ragazzina di coprirsi”.

Secondo l’imputato, anche la ragazzina lo avrebbe visto nudo: “Ma non c’era nessuna malizia. La porta del bagno non potevo chiuderla perché c’era la bambina piccola”. Il processo è stato rinviato per ascoltare cinque testimoni (su otto) della difesa al prossimo 3 dicembre.

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