Dà in escandescenze dentro un locale notturno e aggredisce uno dei poliziotti intervenuti: arrestato Antonio Di Silvio detto “Sapurò”
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Mara Mattioli, ha convalidato gli arresti Antonio Di Silvio detto “Sapurò” e della compagna Stefania Buono (53 anni), disponendo per loro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il magistrato ha riconosciuto per entrambi il metodo mafioso, quindi il fascicolo verrà inviato per competenza al Tribunale di Roma, che tratta i reati aggravati dal 416 bis.
È questo l’esito dell’interrogatorio di convalida reso ieri, 19 novembre, dal figlio maggiore di Ferdinando Di Silvio detto “Il Bello”, ucciso con un’auto bomba sul lungomare di Latina. Nella notte tra sabato e domenica scorsi, infatti, in un noto locale di Latina in Strada Nascosa, Antonio Di Silvio detto “Sapurò”, fratello di Costantino Di Silvio detto “Patatone” (in carcere da anni per l’omicidio Buonamano), e la compagna sono stati arrestati con l’accusa di minacce e resistenza a pubblico ufficiale.
Il 45enne, mentre era all’interno del locale notturno, intorno alla chiusura della serata, si è scagliato contro la compagna. Ne è nata una lite a colpi di offese e urla, tanto che i titolari del locale hanno dovuto chiamare il numero d’emergenza 112 per sedare gli animi. All’arrivo degli agenti di Polizia della Squadra Volante di Latina, “Sapurò”, non pago di aver seminato il panico tra gestori e avventori, ha iniziato a insultare gli operanti.
Il 45enne, nella concitazione del momento, ha pesantemente minacciato di morte i poliziotti, arrivando anche a spingerne uno con una mano sul viso. “Sono un Di Silvio, vi sparo in testa se venite al Gionchetto”. Persino la compagna, 53 annni, non ha lesinato insulti ai poliziotti. Entrambi sono stati arrestati dai poliziotti, mentre “Sapurò” è stato anche affidato alle cure del pronto soccorso poiché in preda a un vero e propio raptus.
Un passato difficile quello di Sapurò, sebbene da tempo non abbia più avuto un ruolo di primo piano nella famiglia capeggiata dallo zio Giuseppe Di Silvio detto “Romolo” (suo zio), anche lui in carcere per l’omicidio Buonamano. Da giovane, Antonio Sapurò (che ora ha tatuato sul cuore la faccia del padre ammazzato) era spietato in quelle piccole estorsioni che ora si riassumerebbero in bullismo. Erano gli anni Novanta. Non poteva sapere che solo qualche anno più tardi sarebbe stato vittima della sua stessa violenza: nel 2006 un carabiniere in borghese gli sparò per legittima difesa davanti al Felix – la discoteca di Piazza Aldo Moro in voga in quegli anni -, perché dopo essere stato cacciato da un buttafuori, Sapurò tornò con una pistola, sparò tre colpi ma fu a sua volta raggiunto da una pallottola che lo prese all’addome, menomandolo.
Ad ogni modo, tornando ai giorni nostri, il 45enne e la compagna sono stati oggi ascoltati ieri nell’ambito dell’interrogatorio di convalida dell’arresto. Sapurò, difeso dagli avvocati Fabrizio Mercuri e Massimo Frisetti, ha risposto alle domande del magistrato, spiegando di non aver mai colpito nessun agente di Polizia. Il 45enne ha detto di non essere in grado di poter fare quanto addebitatogli, in quanto disabile per via della gambizzazione subita quasi venti anni fa. A lui, peraltro, è contestato di aver tirato addosso agli operanti un bidone della spazzatura. La compagna, invece, difesa dall’avvocato Alessandro Farau, ha rilasciato dichiarazioni spontanee, fornendo la sua versione dei fatti. I legali hanno chiesto di non applicare ai loro assistiti il carcere.
A interrogarli era presente anche il pubblico ministero di Latina, Giuseppe Aiello, il quale ha contestato loro il metodo mafioso. A pesare è stata la frase di Sapurò che ha voluto caratterizzarsi come un “Di Silvio”, rimandando alla sua famiglia coinvolti in indagini e processi istruiti dalla Direzione Distrettuale Antimafia (indagini Movida e Scarface). Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina ha accolto la prospettazione del metodo mafioso e lasciato la coppia in carcere.
