OMICIDIO DI MARCO GIANNI: ERGASTOLO CONFERMATO PER DI GIROLAMO

Riccardo Di Girolamo
Riccardo Di Girolamo

Omicidio di Borgo San Donato a Sabaudia, concluso il processo di secondo grado per il killer di Marco Gianni

La Corte d’Appello di Roma, presieduta dal giudice Vincenzo Gaetano Capozza, ha confermato l’ergastolo a Riccardo Di Girolamo, difeso dagli avvocati Gaetano Marino e Massimo Frisetti, per l’omicidio volontario e premeditato del trentenne Marco Gianni, i cui famigliari parti civili sono assistiti dagli avvocati Giamila Dezio e Stefano Ciapanna. Non riconosciute, come invocato dalla difesa, le attenuanti generiche e l’assenza di premeditazione.

Anche il procuratore generale della Corte d’Appello aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado emessa lo scorso 21 marzo dalla Corte d’Assise di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere Paolo Romano e la giuria popolare, che aveva condannato all’ergastolo il 34enne di Pontinia, Riccardo Di Girolamo, responsabile di aver ucciso a colpi di fucile, il 13 aprile 2023, il 30enne Marco Gianni, anche lui di Pontinia. Come noto, Di Girolamo era il marito della compagna di Marco Gianni ucciso per gelosia nel vivaio che gestiva a Borgo San Donato.

Marco Gianni
Marco Gianni

A ribadire la volontarietà del gesto è stata la sentenza scritta dal presidente del collegio del Tribunale di Latina, Gian Luca Soana, che non solo sottolineava la premeditazione dell’omicidio, ma rimarcava l’assenza di pentimento e quasi la rivendicazione di quanto fatto da parte di Di Girolamo. Nelle pagine della sentenza, era riportata una lettera scritta dal carcere da Di Girolamo e alcune conversazioni emerse nel processo tra il killer e alcuni famigliari.

Di Girolamo, si leggeva nella sentenza, “ha ritenuto non opportuno manifestare alcun pensiero di pentimento e scuse alla presenza dei familiari di Gianni la cui vita è stata definitivamente compromessa dalla sua vile azione. In questa lettera non vi è alcun pensiero alla vittima di questo reato mai citata espressamente”. Inoltre, in carcere, dopo essere stato arrestato dai Carabinieri “l’imputato è orientato a trovare strumenti di difesa piuttosto che manifestare un pensiero in favore di chi ha perso la vita. Il primo pensiero di Di Girolamo è quello di far recare un familiare dal medico di famiglia per farsi prescrivere uno psicofarmaco forse per dimostrare una sua incapacità di intendere e di volere e per farsi fare un certificato di malattia (retrodatato al giorno prima), come a dimostrare che quel giorno si
trovasse in una situazione di disagio psichico e fisico”.

A comprovare quanto scritto in sentenza, ci sono le intercettazioni captate nel carcere: “Sei stato una testa di cazzo, perché tu mo’ stai qui dentro loro vanno a spasso”, dice un familiare a Riccardo Di Girolamo. Come a dire che in fondo il problema non è l’omicidio ma che loro ora girano tranquillamente per il paese mentre lui sta in galera”. Tuttavia è Di Girolamo ad essere completamente insensibile a quanto fatto: “Quando esco di qua dentro so’ giovane – dice nel carcere a un. famigliare – non ti preoccupare, ma che pensi mo’ che mi faccio 30 anni?”.

Quanto alla premeditazione, il Tribunale di Latina era stato chiaro: “Non è un caso che quella mattina molte ore prima dell’omicidio, Riccardo Di Girolamo sia uscito di casa con due fucili a canne mozze e tutto quel munizionamento, avendo programmato quell’azione omicidiaria”.

Di Girolamo “ha sparato gli ultimi tre colpi da vicino quando Marco Gianni era a terra colpito dai primi due colpi, di cui uno alla testa, colpo quest’ultimo che ha portato all’immediata morte. Vi sono numerosi elementi che fanno comprendere come avesse programmato l’omicidio. Non è un caso che ha eseguito l’omicidio nell’azienda di Marco Gianni, si trattava del luogo ideale in quando Gianni si trovava da solo, in uno spazio aperto, dove era facile colpirlo e senza avere la vittima alcuna possibilità di fuga o reazione”.

Di Girolamo, difeso in primo grado dall’avvocato Fabrizio Cassoni, aveva assistito impassibile alla sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise dopo quasi quattro ore di camera di consiglio. A Di Girolamo erano stati comminati anche interdizione perpetua e decadenza della potestà genitoriale, oltreché al risarcimento danni morali e materiali da liquidare alle parti civili, costituitesi nel processo. Si tratta dei due genitori di Marco Gianni a cui erano stati disposti 120 mila euro ciascuno di provvisionale, del fratello della vittima (100mila euro) e all’ex compagna, Giada Roscioli: per la donna, ex moglie dell’imputato, 50mila euro. Di Girolamo, oltreché alle provvisionali, era stato condannato anche al pagamento delle spese di giudizio.

Di Girolamo era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio volontario dell’uomo, diventato il bersaglio della sua vendetta per aver intrapreso una relazione con la ex moglie, Giada Roscioli. Si è trattato di un processo dove c’era un reo confesso, Di Girolamo, e nel quale doveva essere stabilito se vi fosse stata premeditazione o meno. Il 34enne di Pontinia, infatti, aveva ammesso di aver sparato contro Marco Gianni, già quando, dopo l’arresto, era stato chiamato a rispondere alle domande del Giudice per le indagini preliminari. L’uomo aveva spiegato di avere sparato a Gianni dentro l’azienda florovivaistica di Borgo San Donato di proprietà della vittima senza chiarire il perché del gesto. Secondo gli inquirenti, Di Girolamo ha ucciso Gianni per motivi di gelosia, in quanto quest’ultimo era fidanzato con la sua ex, dalla quale ha avuto i due bambini.

Lunga circa due ore la requisitoria del pubblico ministero Valentina Giammaria che aveva ricostruito un processo ereditato dalla collega Daria Monsurrò, firmataria dell’indagine eseguita dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Latina, agli ordini del tenente colonnello Antonio De Lise.

“Oggi si conclude – aveva detto il pubblico ministero Giammaria – il doloroso processo in cui la vittima è Marco Gianni. Siamo qui per rendere giustizia a questo ragazzo. L’omicidio è un ladro di vite, ruba passato, presente e futuro. Non posso dare tutte le risposte, ma siamo qui per irrogare la pena giusta. Marco Gianni è stato ammazzato all’età di 30 anni, avrebbe compiuto 31 anni un mese dopo il suo omicidio. Era un gran lavoratore, per passione un allenatore di pallamano, impegnato nel sociale, era stato negli scout e si occupava dolcemente di un ragazzo down, aiutava i disabili, era sempre disponibile per gli altri. Persona mite, generosa e premurosa”.

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