Sicurezza a Latina, Ranaldi (PerLatina2032): “Telecamere e stato di guerra sono toppe e propaganda: serve soprattutto inclusione e cultura condivisa in città”
Il consigliere comunale di PerLatina2032 analizza gli ultimi fenomeni violenti in città e la risposta di Comune e Regione: “Approccio militare non risolve problema, arriva dopo e non ne affronta l’origine. Urge una politica culturale condivisa sul territorio, servizi sociali ai meno abbienti, formazione al lavoro. Il senso di sicurezza si costruisce insieme. Latina paga il fatto di non avere un assessore alla Cultura”
“Daspo urbano, telecamere, minaccia di far attivare l’esercito: l’amministrazione e la Regione continuano a mettere toppe e fare propaganda. Ma ignorano cause del problema: servono politiche di inclusione e lavoro su cultura della comunità, è l’unico approccio sostenibile e dignitoso”, ha dichiarato Nazzareno Ranaldi, consigliere comunale in quota PerLatina2032, in seguito agli ultimi violenti avvenimenti accaduti a Latina, che hanno portato gli scorsi giorni Comune e Regione a incontrarsi per dotare la città di 300 nuove telecamere di videosorveglianza per fronteggiare l’escalation di criminalità.
“Serve una cittadinanza attiva, i patti di collaborazione, le case di quartiere: il presidio di un territorio, oltre alle forze dell’ordine, sono gli stessi cittadini che si prendono cura di pezzi di città. – ha continuato Ranaldi – Aderisco quindi alla proposta del direttore di Latina Oggi Tony Ortolevaper la convocazione di un consiglio comunale straordinario per discutere di criminalità e non solo, per mandare un messaggio alla città che il Comune è vicino ai cittadini e vuole fare la sua parte fino in fondo insieme a tutte le altre istituzione preposte a garantire la sicurezza”
Ranaldi ha riportato le voci degli abitanti del quartiere colpito e ha provato a capire cosa succede in città: “Gli ultimi avvenimenti a Latina testimoniano che c’è una guerra tra bande per spartirsi il mercato criminale in città. Quando le bande criminali arrivano a colpirsi a colpi di bombe, vuole dire che la situazione è al limite e può preludere anche a qualcosa di più eclatante, auguriamoci non succeda il peggio. Le bande per gestire i loro traffici hanno bisogno di occupare porzioni di territorio, creare presidi, posizionare osservatori e sentinelle. Ma il territorio è abitato dai cittadini e nei quartieri dove si insedia la criminalità gli abitanti vengono marginalizzati, costretti a rinchiudersi nelle proprie case, se reagiscono vengono intimiditi con le bombe. Abbiamo incontrato gli abitanti del quartiere oggi preso di mira dalla criminalità, che ci hanno raccontato come a distanza di dieci giorni dagli attentati poco è cambiato: tanti titoli sui giornali, ma la sera, quando tornano a casa, il giardino interno continua ad essere senza illuminazione, il portone divelto dalla bomba non è stato ripristinato, l’ascensore manomesso continua ad non essere funzionante. Le famiglie rimangono sole e chiedono vigilanza continua, per un periodo che scoraggi e metta in crisi la gestione dei traffici, per tamponare la situazione e rendere vivibile il quotidiano”.
“Qui c’è un bivio per la politica: militarizzazione o inclusione. – ha spiegato Ranaldi – Da una parte una risposta che affida la soluzione del problema licenziando un regolamento dedicato al decoro della città, con il cosiddetto Daspo, e alla segnalazione delle zone rosse quelle pericolose da mettere sotto attenzione. Così è stato fatto ad esempio per i senzatetto, allontanandoli non ha significato eliminare la loro condizione, ma sposta semplicemente il problema altrove, rendendolo meno visibile e ancora più difficile da gestire. Lo abbiamo già visto con le panchine in via Don Morosini: una volta tagliate, i senza fissa dimora si sono spostati in un’altra piazza. Invece di concentrarsi solo su misure punitive, un Comune dovrebbe investire in strumenti concretiper aiutare le persone in difficoltà. I servizi sociali sono il fulcro di questa strategiae possonooffrireaccoglienza e alloggi temporanei, supporto psicologico e sanitario, orientamento al lavoro. Un regolamento che allontana le persone crea solo un’illusione di soluzione, ignorando le cause profonde del problema. Al contrario, la vera sfida per un’amministrazione è dimostrare che il decoro urbano non è in conflitto con lasolidarietà, ma che le due cose possono e devono coesistere per costruire una comunità più giusta ecivile”
Ha infine concluso: “La città ha bisogno anche di un capitale cognitivo, che fornisce coordinate di vita, di comportamento e di memoria, costruisce l’identità individuale e quella collettiva, della comunità. C’è necessità di una città culturale dove si ampliano le opportunità per la produzione artistica e si moltiplicano gli spazi a disposizione delle associazioni delle compagnie dei cittadini. Purtroppo la città è vittima sofferente di due scelte operate dall’amministrazione Celentano che privano la città di politiche culturali all’altezza della seconda città del Lazio. Aver scelto di non avere un assessore alla cultura sottrae alla città un solido riferimento stabile per associazioni e cittadini e la cultura è soggetta a scelte improvvisate e prive di futuro (come è stata la decisione di partecipare a Capitale della cultura: cosa è rimasto di quel progetto?). Lo si vede nelle tre interrogazioni da me presentate per la chiusura del teatro Ponchielli, senza nessun interlocutore che rispondesse. E poi aver consegnato il Garage Ruspi all’Università è stata una decisione sbagliata perché non aggiunge nulla all’Università, ma toglie alla città un luogo destinato a spazio espositivo e luogo prezioso per le associazioni. Ora che la città si appresta a costituire la Fondazione Latina 2032 in vista del Centenario si trova senza luoghi dove poter esercitare attività culturali.”
E a proposito del dibattito cittadino: “Ce lo ricorda Graziano Lanzidei nell’articolo su Spazio2032, quando dice ‘Un «me ne importa», o meglio un «ci tengo». Non un richiamo astratto, ma un gesto concreto, quotidiano. È l’I care di don Milani, scritto sulla porta della scuola di Barbiana come bussola etica: non lasciare che il mondo scorra indifferente, ma farsene carico, prenderselo sulle spalle. «Ci tengo» vuol dire restare dentro le cose, non girarsi dall’altra parte, non confondere la libertà con l’indifferenza”. (…) Ma la città è un organismo complesso e per dirlo con Lefebvre, comprende il bisogno di sicurezza e quello di apertura, il bisogno di certezza e quello di avventura, il bisogno di organizzazione del lavoro e quello del gioco, i bisogni di prevedibilità e dell’imprevisto, di unità e differenza, di isolamento e di incontri, di scambi e di investimento”.