Aumento di capitale in Acqualatina, LBC: “Rischia di essere una mannaia per il Comune di Latina e per i cittadini”
“È una situazione paradossale quella che riguarda Acqualatina. Nonostante i bilanci in utili e i profitti generati, il Cda chiede ben 30 milioni di aumento del capitale giustificati da mancati introiti da crediti e da debiti verso fornitori. Tutto è accaduto senza informare prima i sindaci, sebbene un aumento di capitale possa essere deliberato solo dall’assemblea dei sindaci, con una maggioranza qualificata di almeno 2/3. Ma prima di deliberare, ogni amministrazione deve passare dal suo Consiglio comunale. Conti alla mano, Latina, con il 10% delle quote della società, dovrebbe versare oltre 3 milioni di euro. Una cifra enorme, a fronte delle difficoltà in tema di servizi sociali, welfare, assistenza, servizi”.
Così Lbc commenta la richiesta di aumento di capitale da parte di Acqualatina, che rischia di essere una mannaia per il Comune di Latina e per i cittadini.
“La narrazione del management aziendale è che Acqualatina sia schiacciata dal mancato introito dei crediti e dall’impossibilità di pagare per tempo i debiti maturati nei confronti dei fornitori – puntualizza il movimento – E’ segno che la tariffa, che sconta sacche di evasione ancora importanti e mai davvero aggredite con la dovuta rigorosità, non genera sufficiente liquidità per garantire all’azienda una gestione efficiente. E se le tariffe non bastano, le soluzioni sono due: aumento di capitale o aumento delle bollette. O entrambe le cose. Il tassello che manca, quello più ovvio, è una politica aziendale seria e mirata al recupero del credito. Ma si invoca invece la collaborazione dei sindaci per sostenere aumenti di capitale per fronteggiare incapacità e mancanza di progettualità del gestore. E questo è inaccettabile.
È fondamentale in questa fase – prosegue Lbc – che i sindaci trovino compattezza nel respingere questa richiesta e nel riprendere il percorso verso la ripubblicizzazione avviato negli anni passati e poi interrotto. Il valore capitale della società ammonta oggi a 23 milioni di euro. Il 49% vale circa 11 milioni. Con quella cifra i Comuni potrebbero acquisire l’intero pacchetto e riprendersi la gestione. Invece, con i 30 milioni richiesti per la ricapitalizzazione, si finirebbe per regalare risorse pubbliche a un socio privato che già chiude bilanci in attivo”.
“Aggiungiamo che la gran parte degli investimenti da fondi del Pnrr, e non effettuati con soldi dell’azienda come invece prevede il piano industriale, sono stati dedicati al tema della dispersione idrica, di circa il 70%, che rende Acqualatina uno dei peggiori gestori in Italia e che spesso sono collegate, come ci spiegò il management della società, a contatori vetusti che calcolavano male i consumi – prosegue Latina Bene Comune – Quindi, milioni di euro per i contatori elettroniche delle utenze. Ma i fondi per gli investimenti che deve metterci il privato dove sono? O si pensa, come in realtà avviene spesso e sembra avvenire anche qui, di pubblicizzare i debiti e privatizzare i ricavi? Intanto, dal 2003 le bollette sono aumentate del 90%”.
“La via della ripubblicizzazione sembra essere l’unica percorribile, anche perché nel 2011 è stata votata da 26 milioni di italiani – conclude l’ex sindaco Damiano Coletta – Era un obiettivo che nel 2016 eravamo vicini a realizzare. Nell’agosto 2016, all’unanimità, i Comuni dell’Ato 4 votarono per avviare la ripubblicizzazione del servizio idrico e arrivammo persino a trattare con l’amministratore delegato di Veolia l’acquisto del 49% delle quote private. Poi, i cambiamenti politici nei Comuni bloccarono l’operazione e il processo subì un rallentamento anche a causa di forze che apertamente lo boicottavano. Oggi, ne vediamo i risultati. La sindaca Celentano ha già dichiarato che lavorerà per ‘garantire il futuro di Acqualatina’. Dunque, si tratta di decisioni già prese a Roma, bypassando i Consigli comunali?”.