SATNAM SINGH, L’INCUBO DEL BRACCIANTE IN AULA: “C’ERA LA CASSETTA CON IL BRACCIO DENTRO”. SENTITI SEI TESTIMONI

Antonello Lovato

Satnam Singh, riprende il processo che vede alla sbarra per omicidio volontario, Antonello Lovato, il 39enne di Latina accusato di aver ucciso il bracciante indiano

È ripreso ed è entrato nel vivo dinanzi alla Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere il giudice Mario La Rosa e la giuria popolare il processo che imputa al 39enne di Latina, Antonello Lovato, la morte del bracciante indiano, Satnam Singh, avvenuta a giugno dell’anno scorso. L’imputato è difeso dagli avvocati Mario Antinucci e Stefano Perotti. Oggi, 27 maggio, l’inizio del dibattimento con i primi testimoni esaminati.

Il 31enne è diventato simbolo del malcostume del caporalato e il suo nome, dopo la sua morte, è finito all’attenzione di tutti i giornali e telegiornali nazionali e internazionali. L’arresto di Lovato è stato disposto dal giudice per le indagini preliminari del Trobunale di Latina, Giuseppe Molfese, lo scorso 2 luglio 2024, dopo la richiesta pervenuta dal sostituto procuratore di Latina, Marina Marra, il 25 giugno, oggi presente in aula per esaminare, insieme agli avvocati d parte civile e alla difesa di Lovato, cinque Carabinieri che hanno svolto le indagini a carico dell’imputato e Ilario Pepe, l’uomo che ospitava, insieme alla moglie, Satnam Singh e la compagna Soni nella casa ubicata a Castelverde, la piccola località a Cisterna di Latina, al confine col capoluogo di provincia.

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Come noto, “Navi”, come era chiamato Satnam da amici e conoscenti, era venuto in Italia nel 2016. Dopo aver ottenuto il primo permesso di soggiorno, era diventato, a scadenza del lasciapassare, un vero e proprio invisibile come tanti extracomunitari sfruttati nei campi dell’agro pontino e oltre. Feritosi lo scorso 17 giugno, con la macchina avvolgi-plastica per i meloni nell’azienda della ditta individuale di Antonello Lovato a Borgo Santa Maria, il 31enne lavoratore in nero è stato caricato su un furgone dal medesimo Lovato, suo datore di lavoro, e trasportato con la moglie via dall’azienda.

Dopo sette chilometri, senza essere portato in ospedale, “Navi” è stato abbandonato con la moglie in Via Genova, a Castelverde (già comune di Cisterna) davanti alla casa dove era ospitato da una coppia di italiani. Copiosa la perdita di sangue dal braccio mutilato e dalle gambe in condizioni gravissime, Navi è morto due giorni dopo in un letto dell’ospedale San Camillo di Roma dove era stato elitrasportato.

Lovato è imputato per i reati omicidio doloso e per diverse violazioni del decreto legislativo 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Secondo il sostituto procuratore di Latina, Marina Marra – che ha chiesto la misura cautelare in carcere al Gip Giuseppe Molfese che l’ha condivisa – Lovato, “con plurime condotte”, ha causato con colpa, violando le norme di sicurezza sul lavoro, il ferimento di Satnam Singh, 31enne indiano irregolare e privo di permesso di soggiorno.

Nella scorsa udienza di aprile, la Corte d’Assise ha ammesso la costituzione di parte civile di dodici dei richiedenti. Si tratta, innanzitutto, dei quattro famigliari di Satnam Singh e della compagna convivente more uxorio, Soni Soni. Accolte anche le parti civile di Inail, Comuni di Cisterna (presente in aula, come nella scorsa udienza, il sindaco Valentino Mantini) e Latina, Regione Lazio, Flai Cgil, Cgil Latina Frosinone e Anmil (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro). Escluse, invece, le associazioni di Libera, “Antonino Caponnetto”, Ona e Lavoratori Stranieri. Esclusa anche la richiesta della difesa di Lovato di chiamare come responsabile civile l’assicurazione Axa, ossia la compagnia che aveva assicurato il trattore che trainava l’avvolgi-plastica. In aula, il processo si è aperto lo scorso 1 aprile e sin da subito è stata battaglia tra la difesa di Lovato, rappresentata dagli avvocati Mario Antinucci e Stefano Perotti, e la Corte d’Assise.

Sono otto le persone offese tra cui la madre di Satnam, Jasveer Kauril padre, i fratelli di Satnam Singh, il padre, Gurmukh Singh, tutti difesi dall’avvocato del foro di Santa Maria Capua Vetere, Giuseppe Versaci. Le altre persone offese sono i sindacalisti Giovanni Mininni della Flai Cgil e Giuseppe Massafra della Cgil di Latina. I sindacalisti sono difesi dagli avvocati Simone Sabbattini, Antonio Valori e Andrea Ronchi. Indicata, naturalmente, come persona offesa, anche la moglie del bracciante, Soni Soni, la 27enne difesa dall’avvocato del foro di Latina, Gianni Lauretti.

Prima del brigadiere ascoltato in aula, Lovato rilascia una breve dichiarazione spontanea: “Ho seguito attentamente la scorsa udienza. Estendo la mia volontà di risarcire i famigliari di “Navi”, ho aperto il libretto giudiziario e vorrei essere autorizzato a versare la somma ai famigliari. Ho guadagnato 280 euro lavorando in carcere e intendo versarli alla famiglia. Il mio impegno è di risarcirli”.

Il primo ad essere esaminato dal pm Marra è il brigadiere Antonio Rico, in servizio nella sezione Radiomobile di Latina, che ha spiegato i primi accertamenti svolti subito dopo il ferimento del bracciante: dal trattore su cui doveva essere montato l’avvolgi-plastica al furgone su cui fu caricato Satnam insieme alla moglie e condotto nella casa dove lo ospitavano a Cisterna.

“Quando sono arrivato a Castelverde, al civico 13 di Via Genova, c’era il cancello aperto e vicino a questo c’era una cassetta con un braccio all’interno, alla presenza del personale del 118. Io ho visto il ferito, ma non mi sono avvicinato perché era in carico ai sanitari: il ferito era già in condizioni gravi. Ho cercato di capire al situazione e ho parlato con uno degli indiani presenti che sapeva parlare bene l’italiano”. L’uomo è stato inserito nella lista dei testimoni e verrà ascoltato in una delle prossime udienze.

“L’uomo mi riferì che aveva ricevuto una telefonata dal cugino e che a sua volta aveva ricevuto la telefonata della moglie del ferito che ho identificato e stava piangendo”.

Dopodiché, il brigadiere, insieme a personale dell’Asl di Latina, si recarono dentro l’azienda dei Lovato in Strada del Passo, tra Borgo Santa Maria e Borgo Bainsizza. “Renzo Lovato e il fratello ci riferivano che l’azienda era riconducibile a un altro uomo, estraneo ai fatti, e ad Antonello Lovato”. Il carabiniere ha materialmente sequestrato l’avvolgiplastica che ha tranciato il braccio di Satnam: “Un’asta con un disco tondo di ferro avvolgi telo, praticamente un meccanismo rigido che avvolge il telo che serve per coprire gli ortaggi. Fu Lovato Antonello, sopraggiunto con il legale di fiducia, a spiegarci la dinamica con cui l’avvolgitelo risucchiò il braccio di Satnam”.

In azienda, sul luogo dell’incidente, c’erano tracce di sangue sul terreno e c’erano pezzi di camicia e stoffa. Anche il furgone, guidato da Antonello Lovato, su cui fu portato Satnam dall’azienda fino a Castelverde fu sequestrato: “Lo trovammo all’interno dell’abitazione di Lovato. Il furgone era stato lavato, nella parte posteriore non c’erano tracce di sangue: era stato pulito”.

Il secondo testimone di giornata il luogotenente Francesco Arpaia dei Carabinieri di Latina. Il militare, che ha dato conto del rapporto collaborativo dei Lovato dopo l’incidente, è intervenuto una ventina di minuti successivi rispetto alla Sezione Radiomobile. Erano le 17,20 del 17 giugno 2024: “Satnam era stato già stabilizzato e si trovava all’interno dell’eliambulanza per essere condotto nel nosocomio romano “San Camillo”. Partito l’elicottero, abbiamo iniziato a identificare le varie persone presenti nell’immobile e il proprietario, Ilario Pepe. Uno dei ragazzi indiani che parlava bene l’italiano ci disse del furgone che aveva portato il ferito e un altro indiano ci disse che vi avrebbe condotto sul luogo dell’incidente, ossia nell’azienda agricola del Lovato”.

“In azienda non c’era Antonello, ma il padre Renzo. Cercammo di capire dove fosse successo il fatto e Antonello Lovato, sopraggiunto, ci portò nel luogo esatto dell’incidente. Abbiamo sequestrato i vestiti sporchi di sangue: la camicia che indossava Satnam. Si vedevano chiazze di sangue e piccoli pezzetti di stoffa buttati per terra. Recuperammo l’attrezzo che era stato costruito artigianalmente: un disco attaccato a un albero che va direttamente al reparto motrice del trattore. Un lama affilata, costruita apposta per far sì che il telo venga agganciato e tirato rapidamente”.

Lovato fu accompagnato nella Stazione dei Carabinieri di Borgo Podgora: “Lì – sostiene il luogotenente – Lovato ammetteva quanto accaduto”. I militari dell’Arma – ne dà conto il luogotenente – hanno eseguito un fascicolo fotografico che ha “cristallizzato” tutti i luoghi della tragedia. In questa documentazione si sono le foto del posto dove Lovato ha lasciato Satnam e anche la cassetta dove era contenuto il braccio. Tra le foto anche l’attrezzo mortale, un disco molto sottile che ha ferito fatalmente Satnam Singh. L’attrezzo si aggancia all’albero del motore del trattore e, una volta in accensione, il disco (una lama affilata) gira velocemente: “Un sistema artigianale, nessuna ditta produce uno strumento de genere”.

Anche il luogotenente Arpaia ribadisce che il furgone era stato lavato: “A dire di Lovato era stato lavato. Ci disse che poi era andato a Latina dall’avvocato”. Successivamente sul furgone, l’accesso dei Carabinieri ha dimostrato che non c’era già più il cellulare della vittima e della compagna Soni Soni: “La ragazza ci disse che dopo l’incidente avevano il cellulare. Poi, quando furono messi sul furgone pieno di cassette, Soni ha detto che trovò più il cellulare suo e del marito”. All’interno del furgone, i Carabinieri non trovarono traccia di cellulari: “C’erano solo le cassette dentro il furgone”.

Dopo la morte di Satnam, il luogotenente e comandante della stazione di Borgo Podgora ha spiegato che rispetto alla collocamento di Soni Soni “ci fu una situazione caotica. Noi come militari dell’Arma abbiamo sempre cercato di aiutarla”.

A parlare, come terzo testimone, il maresciallo maggiore della Sezione Radiomobile, Pasquale Salzano, che ha effettuato alcuni accertamenti nel giorno del ferimento, il 17 giugno 2024. “Il bracciante aveva indumenti completamente intrisi di sangue e, dopo che gli erano stati tolti, li abbiamo sequestrati trovandoli per terra: una camicia eun pantalone”.

Come quarto testimone c’è il maresciallo della Stazione di Borgo Podgora, Mario Piantedosi, che non è intervenuto sul posto, ma ha firmato un accertamento sul cellulare di Gora, uno degli indiani, in cui sono stati riscontrati varie chiamate in entrata e in uscita. Una veloce testimonianza seguita da quella del maresciallo Giuseppe Pane del nucleo operativo della Compagnia dei Carabinieri di Latina. Il militare ha partecipato alla perquisizione di vari documenti, tra cui il cellulare e la pennetta di Lovato.

L’ultimo a testimoniare è Ilario Pepe, l’uomo che ospitava Satnam e la moglie e che soccorse il bracciante quando Lovato lo portò col furgone a casa: “Vidi Lovato che non conoscevo che stava manovrando una cassetta e fu un vicino di casa ad accorgersi che dentro c’era una mano. Io gli chiesi cosa fosse successo e lui mi disse: “Si è tagliato”. E io: “Che lo porti qui?”. E lui: “Non sono in regola”.

La testimonianza di Pepe è ancora fresca, pur essendo passati 11 mesi dal fatto: “Solo dopo mi resi conto che si era amputato un braccio e vidi che aveva danni in tutte le parti del corpo: il bacino del corpo e tagli sul petto e sulla pancia. Boccheggiava Satnam, era agonizzante. Nella cassetta c’era l’avambraccio”. Fu Pepe a chiedere per primo i soccorsi del personale 118, dopodiché ci fu una seconda telefonata di un ragazzo indiano. Solo ad un certo momento, Satnam iniziò a perdere sangue.

La parte del braccio amputata era stata suturata con un panno. “Io ricordo Soni che accarezzava la testa di Satnam e si sporcava le mani perché anche il capo era pieno di sangue”. Per quanto riguarda Lovato, Pepe lo descrive come una persona che “era tranquilla. Mi rispose, poi sgommò e andò via col furgone”.

Pepe ospitava Satnam e la compagna nell’immobile di sua proprietà in Via Genova, a Cisterna. “Erano lì da un anno e mezzo, ma non sapevo all’inizio che fossero irregolari sul territorio italiano. Quando mi sono accorto che on avevano il permesso di soggiorno, non potevo cacciarli. Avevano il documento d’identità, ma non sapevo che non avessero il permesso, non ci ho pensato”.

La difesa chiede a Pepe se sia mai stati indagato, la risposta è semplice: “No”. Il processo riprende il prossimo 15 luglio quando verranno ascoltati quasi tutti i testimoni dell’accusa.

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