FRUTTI DIMENTICATI DELL’AGRO PONTINO, ECCO QUALI SONO

Frutti dimenticati dell'Agro Pontino, questa la Canestra di Frutta di Caravaggio
Dettaglio del dipinto Canestra di frutta - 1599 di Michelangelo Caravaggio, conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana a Milano

A partire dalla fine del XIX secolo, nel Lazio erano state censite come piante da frutto locale il castagno, il gelso, il fico, il melo, il pero, il ciliegio, il pesco, l’albicocco, la vite e l’ulivo (ai quali va dedicato un capitolo a parte) ma l’analisi della documentazione storica non ha dato modo di scorgere intenzioni di coltivazione sistemica degli stessi. All’inizio del XX secolo la nascente frutticoltura era prevalentemente una coltivazione promiscua e sinergica, frutteti familiari inseriti nella struttura di un orto. A partire dal dopoguerra e dopo la bonifica dell’Agro Pontino, invece, l’essenza della frutticoltura pontina cambia radicalmente e acquista maggiore specificità, soprattutto nelle aree di pianura

Infatti, solo a seguito della bonifica delle paludi pontine l’agricoltura locale avrebbe potuto, infine, essere realizzata da zero, considerato che acquitrini e grandi e verdi estensioni boschive, ossia gli habitat residui ad oggi tutelati dal Parco Nazionale del Circeo, immagazzinavano la potenzialità agricola ancora inespressa sotto il rigoglioso ecosistema palustre imperante.

Le zone più ricche di biodiversità frutticola e, più in generale, agricola sono così rimaste localizzate soprattutto nella fascia collinare e montana. In queste aree dell’entroterra, dove non è facile introdurre un sistema agricolo avanzato, in un primo momento è sopravvissuta un’agricoltura di tipo tradizionale, legata alla coltivazione di varietà autoctone perfettamente adattate all’ambiente e resistenti o tolleranti ai patogeni locali; successivamente, anche qui si è andata perdendo questa tradizione di economia (e cultura) locale.

Archivio Consorzio di Bonifica dell'Agro Pontino fondo Giovanni Bortolotti
Archivio Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino – Selva di Terracina nel fondo di Giovanni Bortolotti [Fonte: Arsial]

COSA SI COLTIVA OGGI 

I seguenti sono tipi di frutti autoctoni che vengono coltivati nel perimetro pontino, sebbene i cultivar (nome con cui si indicano le varietà agrarie di una specie botanica) rilevati siano altamente commerciabili, scelta che ha determinato una generica omologazione delle produzioni e un appiattimento della biodiversità locale.

PERE. La coltivazione del Pero (Pyrus communis L.) si estende su circa 540 ha nell’intera regione Lazio, di cui il 56% è localizzato nella provincia di Latina. 

PRUGNE. Il susino nel panorama regionale occupa una superficie di 929 ha e Latina assorbe il 67% del totale.

MELE. La melicoltura specializzata si estende oggi su circa 1.000 ha e alla provincia di Latina appartiene il 66%. La coltivazione delle mele è limitata a poche cultivar più produttive, soprattutto Golden delicious e Red delicious.

ALBICOCCHE. La coltivazione dell’albicocco si estende nel Lazio per un totale di 200 ha e il 39% di questa superficie ricade nella provincia di Latina.

I frutti locali attualmente prodotti non si arrestano certamente a queste varietà elencate perché, con molto successo, vengono coltivati anche altri frutti non propriamente originari dell’Agro Pontino. Fragole Favette di Terracina (arrivate negli anni ’50 dalla Francia), cocomeri, meloni e i kiwi neozelandesi, qualità di frutta “straniera” che hanno preso piede quando l’economia locale pontina ha visto nell’agricoltura intensiva di questi prodotti migliori margini di guadagno.

Fragole favette di Terracina
Frutto nobile, decantato da Ovidio, Plinio e Virgilio, trova, all’indomani della bonifica delle paludi pontine, terreno favorevole per l’impianto. A partire dalla fine degli anni ’50, gli agricoltori dell’areale oggetto di caratterizzazione hanno favorevolmente accolto la proposta di un’azienda sementiera francese di impiantare una nuova varietà di fragola: la Favette. Intenzione dell’azienda era diffondere la cultivar in tutto il mondo, ma qualcosa non ha funzionato. Questo frutto dolcissimo riesce a trovare terreno favorevole solo nella pianura Pontina, in un’estensione di poco più di 100 ha, pertanto, l’azienda decide di non rinnovare il brevetto. Da allora, nella zona, la conservazione del seme avviene ad opera degli stessi agricoltori che mandano a fioritura le piantine [Fonte Arsial Regione Lazio]

FRUTTI PONTINI DIMENTICATI: QUALI A RISCHIO ESTINZIONE

Si intendono in via di estinzione quando le superfici agrarie dedicate a questi frutti sono molto esigue, limitate a poche coltivazioni familiari o quando addirittura la pianta cresce in maniera spontanea nei rari spazi dove alla natura viene ancora concesso il privilegio di fare il suo corso.

PERE. Rischio estinzione per la Pera Angina (uncino, campanella, capattera) che al momento è possibile trovare dalle parti di Valle Imperiale, alle spalle di Monte San Biagio, a Fondi e Maenza. Stesso discorso per la Pera Biancona, Castrese, Fegatella e Pero-Melo, tutte appartenenti alla zone compresa tra Valle imperiale e Monte San Biagio. Una qualità di pera tipica a rischio è la Pera Rossa di Maenza.

PESCHE. Alla fine del XIX secolo tra Sezze e Terracina si coltivano Pesche della Maddalena, Moscadelle e Nettarine.  

CILIEGE. Varietà autoctone locali solo la Patrei nera e la Patrei rossa, individuate e caratterizzate a Maenza. Altri ecotipi della stessa varietà solo la Crognalina di Maenza, Cerasa della Madonna, Pomponia e Maggiolina: ne esistono numerosi esemplari sparsi lungo i terrapieni ai bordi di orti e frutteti famigliari. Grazie ad un dipinto del ‘400, trovato in una chiesa di Maenza, raffigurante la Madonna e il Bambin Gesù con le ciliegie tra le mani, si è potuto risalire al periodo in cui risale la coltivazione del ciliegio a Maenza. Altra varietà è il Magaleppo di cui la migliore è la Typica e molti esemplari adulti si incontrano anche sui monti Ausoni nel territorio di Lenola. 

VISCIOLE. Diffuse in molte aree collinari e montane del Lazio, le visciole e le amarene assumono caratteristiche da “gradite” infestanti anche per il contenimento dei terreni. I frutti del Visciolo dei Monti Lepini sono molto ricercati per la produzione di marmellate da crostata e per la produzione di una bevanda alcolica tipica, la “Ratafià” che si ottiene facendo fermentare al sole per alcune settimane i frutti snocciolati ai quali successivamente viene aggiunto del vino. 

ARANCE. Cultivar autoctono, l’Arancio Biondo di Fondi è presente esclusivamente nell’area pontina. Testimonianze della sua presenza si registrano intorno al XVIII secolo, periodo in cui il prodotto assume un’importanza commerciale tale che Fondi diviene sinonimo di arancio. Gli aranceti di Fondi caratterizzavano a tal punto il territorio che i famosi viaggiatori dell’800, in Italia per i Gran Tour, non poterono fare a meno di decantarli. Lo fanno Madame de Steel, Chateaubriand e Goethe. Quest’ultimo li ricorda nei seguenti versi: “Splendon tra le folie verdi, arance d’or“. 

FICHI. A Sonnino vengono coltivati per essere poi essiccati e la metodologia di trasformazione e conservazione del prodotto è tramandata da generazioni. Il prodotto viene tradizionalmente consumato nel periodo natalizio. I fichi del terzo fiore (quelli più piccoli che si sviluppano da luglio in poi) vengono essiccati interi o divisi in due, prima al sole e successivamente in un forno a legna. Vengono conservati infilzandoli in una canna tagliata a listarelle: in questo modo possono essere consumati anche fino alla successiva stagione.

MELE. A Norma esiste la Mela Capo d’Asino come a Sezze le mele Cocoine, Dolce di Sezze, Nana, Sant’Agostino, frutti considerati ad alto rischio di erosione genetica. Medio rischio per la mela Tonnorella e quella Zuccherina.

MELOGRANO. Anche il melograno rischia l’estinzione, soprattutto le varietà chiamate Gaeta e Formia – ecotipi MG1, MG2, MG3, MG4 .

L’elenco dei frutti dimenticati dell’Agro Pontino è sicuramente più lungo, perché esistono altri alberi da frutto locali che rischiano l’estinzione a causa della mancanza di politiche specifiche che li tutelino. Carruba, nespola europea, giuggiola, mora di gelso bianco e gelso nero, corbezzolo e corniolo, sono anch’essi frutti che l’Agro Pontino ha messo da parte per far spazio a coltivazioni remunerative, nonostante alcune di queste appena citate presentino potenzialità di economie di nicchia molto richieste. Ad esempio, il baccello della carruba è da considerarsi come ottimo succedaneo del cacao, mentre la farina di semi di carruba possiede ottime proprietà addensanti, stabilizzanti ed emulsionanti e viene utilizzata molto spesso nella preparazione di prodotti senza glutine.

carrube sono i frutti dell'albero Ceratonia siliqua, comunemente chiamato carrubo.
Le carrube sono i frutti dell’albero Ceratonia siliqua, comunemente chiamato carrubo

In conclusione, anche l’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, a seguito di ricerche su alberi da frutto locali e biodiversità, condivide che sia assurda la convinzione dell’agricoltura industriale di poter coltivare in tutta Italia, ad esempio, la stessa varietà di ciliegio (o di altro frutto o anche di ortaggio) perché, all’apparenza, si è dimostrata più redditizia. In più, tra i frutti dimenticati, è possibile trovare cultivar resistenti agli stress ambientali, varietà che hanno particolari resistenze alle malattie connaturate ad un preciso territorio proprio perché sono genotipi che si sono adattati a specifici contesti ambientali. In natura esistevano piante come albicocchi e peri che, udite udite, fruttificavano senza ricorrere all’irrigazione e che avevano sapori che, probabilmente, non si conoscono più.

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