RESET, SOLO QUATTRO IMPUTATI ACCETTANO DI ESSERE INTERROGATI. NINNOLINO: “ACCUSATO PERCHÈ ERO SEMPRE IN PRIMA LINEA”

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Carlo Ninnolino
Carlo Ninnolino

Nuova udienza del processo “Reset” che contesta ai membri del clan Travali l’associazione mafiosa. Solo quattro imputati scelgono di essere esaminati

Non c’è stata la fila tra i trenta imputati nel processo “Reset”, che contesta l’associazione mafiosa al clan Travali/Di Silvio, per essere esaminati dai pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Luigia Spinelli e Francesco Gualtieri.

Alla fine, scelgono di essere interrogati dal pubblico ministero Francesco Gualtieri solo in quattro: Riccardo Pasini, Carlo Ninnolino, Silvio Mascetti e Alessandro Anzovino. Prima dell’esame imputati, è stato ascoltato uno degli investigatori della Squadra Mobile di Latina che ha partecipato alle indagini Reset e Don’t Touch, ossia l’inchiesta già definita processualmente, con pesanti condanne, che ha per prima portato agli arresti dei membri del clan Travali nell’ottobre 2015.

Il processo, come noto, è quello che contesta l’associazione mafiosa alla cosca di Latina che, negli anni di “Maiettopoli” (i primi anni Dieci, fino agli arresti avvenuti con l’operazione “Don’t Touch” nel 2015), dominava incontrastato le piazze di spaccio del capoluogo pontino, tra estorsioni, intimidazioni e rapporti opachi con imprenditoria, professionisti e politica. L’indagine denominata “Reset” è stata conclusa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e dalla Squadra Mobile di Latina, sulla scorta delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, ex affiliati al clan Travali, Agostino Riccardo e Renato Pugliese. Trenta imputati tra cui pesi massimi della criminalità latinense come Costantino “Cha Cha” Di Silvio, Alessandro Zof e Luigi Ciarelli, vale a dire il numero tre del sodalizio rom “Ciarelli” e considerato, in questo processo, come il fornitore di hashish della banda dei Travali.

Nell’udienza odierna, ha scelto di rilasciare dichiarazioni spontanee Antonio Giovannelli, uno degli imputati, il quale ha negato di essere parte del clan e di avere avuto solo un legame parentale con i fratelli Travali in quanto ex compagno di una delle sorelle, Vera Travali, a sua volta imputata.

Il primo imputato, invece, ad essere esaminato davanti al III collegio del Tribunale di Latina, presieduto dal giudice Mario La Rosa, è Silvio Mascetti, il 53enne di Latina, accusato di essere uno dei pusher affiliato al clan. Mascetti, non senza polemiche verso il pubblico ministero accusato addirittura di provocarlo, ha negato di aver mai spacciato droga in vita sua, pur essendo stato arrestato più volte sin dal 1994 per smercio di sostanze stupefacenti. È cresciuto nel quartiere “in” della Cucchiarelli di Latina e per tale ragione ha sempre frequentato persone perbene, “mica come questi pentiti”.

Il 53enne ammette di aver fatto smodato uso di droga sin dalla giovane età, fino al 2015, anno del suo penultimo arresto. Consumava la droga con amici che, oggi – dice -, sono stimati professionisti, di cui non vuole fare i nomi. Quanto ai nomi degli spacciatori che lo rifornivano, si ricorda solo di un certo “Alì”. Non ci sta, quindi, Mascetti, ad “essere stato messo in mezzo a questa pseudo associazione”.

Ha negato qualsiasi addebito anche Alessandro Anzovino il quale ha spiegato di essere stato da sempre un tossicodipendente da crack e cocaina. L’unico rapporto con i fratelli Travali, anche per lui, è solo di tipo parentale: sono fratelli avendo la madre in comune, Maria Grazia Di Silvio detta “Graziella”.

Diverse e più misurate le testimonianze di Riccardo Pasini e l’ex poliziotto Carlo Ninnolino, accusati di corruzione con l’accusa di aver spifferato notizie coperte dal segreto d’indagine ad Angelo Travali, Francesco Viola e ai collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Pasini, che ha già rilasciato dichiarazioni spontanee in una precedente udienza, accusando pesantemente Renato Pugliese e lo zio Marco Pugliese, responsabili di averlo minacciato, ribadisce quanto detto.

Secondo l’imputato – già assolto in Appello come Ninnolino nel processo “Don’t Touch, dove era accusato sempre di aver avvertito il clan riguardo alle indagini in corso – Renato Pugliese avrebbe video-chiamato lo zio Marco Pugliese, ex grande amico di Pasini, in sua presenza. Il pentito avrebbe detto allo zio che Pasini avrebbe dovuto fargli un bel regalo, altrimenti lo avrebbe buttato di nuovo nel calderone. Secondo quanto raccontato da Pasini, lo zio di Pugliese gli avrebbe anche detto che altri imprenditori avevano già pagato per non finire nel tritacarne delle dichiarazioni di Puglese stesso. Ad ogni modo, Pasini denunciò ai Carabinieri Marco Pugliese che, successivamente, fu arrestato dai militari per tentata estorsione ai suoi danni. Nel processo allo zio del pentito (Renato Pugliese è estraneo), il reato contestato è stato poi riqualificato in truffa.

Pasiani, inoltre, rispondendo alle domade del Pm Gualtieri, ha parlato dei rapporti con Ninnolino, spiegando di non aver mai raccolto da lui nessuna confidenza di indagini in corso: “Lo vedevo alle partite di calcio e perché la moglie lavorava al Caf e per una pratica di mia figlia mi rivolsi a lei”.

Per quanto riguarda gli altri componenti del clan, Pasini ha detto di conoscere Angelo Travali sin da bambino perché veniva al tabacchi da lui gestito insieme al padre putativo Giuseppe Travali, mentre Agostino Riccardo sarebbe stato sempre inviso. “Angelo Travali veniva al Miami Beach per fare i compleanni di sua figlia, era un normale cliente”.

Pasini ha raccontato che quando gestiva il Miami Beach, riconducibile alla sua ex compagna, “cacciai Agostino Riccardo che già mi aveva creato problemi in passato in alcune discoteche di Latina. Agostino fu allontanato dal Miami Beach perché aveva sporcato la borsa della signora e se avesse mai provato a metterci piede di nuovo, lo avrei cacciato“.

Anche Ninnolino, esaminato per ultimo, ha sostenuto di avere avuto rapporti con Riccardo e Pugliese solo per lavoro, in quanto furono oggetto di indagini. Ninnolino, infatti, è stato componente della Squadra Mobile di Latina fino al 2015 quando, nel corso dell’indagine Don’t Touch, proprio perché a sua volta indagato con l’accusa di aver rivelato notizie al clan, fu trasferito al centralino della Questura di Latina.

Quando il pubblico ministero gli chiede delle dichiarazioni di Roberto Toselli, soggetto che aveva iniziato una collaborazione con lo Stato per poi ritrattare, il poliziotto spiega di conoscerle, per poi dichiarare di non ricordarsi molto bene. Nel mezzo, c’è stata battaglia in aula tra il suo avvocato Silvia Siciliano e il pm Francesco Gualtieri sulla possibilità o meno di fare domande su Toselli il quale, come i collaboratori di giustizia, aveva dichiarato agli inquirenti comportamenti inopportuni da parte di Ninnolino.

Il poliziotto, ad ogni modo, ha ribadito la correttezza del suo agire, raccontando anche dei suoi rapporti con Agostino Riccardo e di quando con l’allora capo della Squadra Mobile di Latina, Tommaso Niglio, ricevette proprio dall’attuale collaboratore di giustizia la soffiata di dove si trovassero le armi dei Travali. Il luogo dell’incontro fu Latina Scalo e il contesto era quello post sparatoria al tabaccaio Marco Urbani, destinatario di una gambizzazione ordinata da Angelo Travali: “Agostino ci disse che i Travali e Viola avevano tutta Latina in mano e che avevano a disposizione armi a casa di Viola. Nella notte scattò la perquisizione e fu rinvenuta un’arma”.

Sul perché è stato tirato in ballo dai pentiti, Ninnolino se lo spiega così: “Ero un poliziotto della Squadra Mobile sempre in prima linea, il più premiato di tutti”.

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