Nell’ambito della 18° Edizione di “Incontri all’imbrunire”, venerdì 2 agosto, alle ore 19 (ingresso libero), sarà presente, al Circeo Park Hotel di San Felice, Federico Buffa il più grande giornalista sportivo d’Italia. E non è una esagerazione, anzi, forse una diminutio, perché Buffa è a tutti gli effetti un narratore della stessa razza dei più grandi che si sono cimentati nella divulgazione sportiva applicata al racconto. Senza dubbio meriterebbe di entrare in qualche antologia di letteratura italiana orale (e non). E chissà se non ci riesca.
Irregolare, milanese, avvocato solo per dovere (durò pochi mesi), intense esperienze giovanili di studio e di vita negli Stati Uniti d’America, molti lo conoscono grazie alle parodie che ne fanno in Rete; una nicchia – quella che ama la pallacanestro – se lo ricorda con Flavio Tranquillo nelle telecronache della National Basketball Association (NBA) sulle reti a pagamento; altri ancora ne hanno apprezzato a fondo, dai primi anni Dieci, il suo approdo al calcio prima come opinionista a Sky Calcio (andò via presto dalle banalità del dopo partita), poi cantastorie dei Mondiali.
Chi segue la sua partitura narrativa con cui delizia il pubblico ha capito di avere in Italia uno che, se fosse stato americano o inglese, sarebbe osannato urbi et orbi, al contrario che nel Belpaese dove, invece, si preferisce valorizzare sui canali mainstream anonimi cronisti dell’ovvio o cronici opinionisti da sonno mortale che discettano sulle qualità da procuratrice di Wanda Nara. E siamo sicuri che se ne parlasse lui, tirerebbe fuori epica, aneddotica, cultura argentina da milonga, tanto da renderci interessante anche Mauro Icardi e le sue bizze. Sì perché Buffa parte da un particolare, il soprannome di un calciatore, l’episodio d’infanzia di un boxeur o di un giocatore Nba, e alla fine ti ritrovi ad ascoltare la Storia e la cultura degli Usa, d’Italia, della Mitteleuropa, del mondo; scaraventato in un universo di segni, retroscena, iniziazioni che compongono la mistica di Federico Buffa.
Qui, in Italia, la grande massa, quella che vede le reti tradizionali, ancora persiste a non sapere chi sia. Ed è un peccato, perché Federico Buffa è il nostro Eduardo Galeano, anzi, sarebbe meglio dire, che nulla ha da invidiare ai grandi scrittori/narratori che direttamente o indirettamente si sono occupati di sport applicato al racconto. Ascoltare la metodologia narrativa di Buffa è rivivere l’incipit del monumentale romanzo di Don De Lillo, Underground, in cui il grande scrittore newyorkese ci spiegava, senza aura professorale, l’America partendo da una palla da baseball che passa di mano in mano solcando la Storia novecentesca del Nuovo Mondo; o riannodare i fili della memoria, seguendo la biografia atletica dello “Svedese”, come il protagonista immortale di Pastorale Americana di Philip Roth; o ancora commuoversi e riempirsi di vita col sangue della passione (ri)leggendo l’uruguagio Galeano – a proposito: l’amore che Buffa ha per il Sudamerica è qualcosa di visceralmente impattante per chiunque lo ascolti melodiare e saltabeccare dall’Argentina al Cile, dal Brasile alla Colombia.
Perché Buffa racconta di gusto, viviseziona con ricerca e loquela finissime i suoi personaggi, li ama e ce li fa amare, si diverte a farlo, fa riflettere, offre uno sguardo di interpretazione della società, o ti inchioda con una musica e la sua vocina autorevole e senza tentennamenti a un ricordo simbolo della tua vicenda umana e del Paese in cui vivi. E rischi di ritrovarti in lacrime, senza provarne vergogna, pieno della tua umanità risvegliata da influenze culturali, cinematografiche, collettive, valoriali – provare per credere: guardate la puntata che dedicò al trionfo azzurro ai Mondiali di calcio di Spagna ’82, e se non piangete orgogliosi di vivere in un paese imperfetto prenotate un analista. Ma bravo.
Le storie che Buffa ci ha trasmesso sono innumerevoli: da Muhammad Ali all’Olanda di Johan Cruijff, da Michael Jordan a Diego Armando Maradona, eppoi il Grande Torino, Rasheed Wallace, Wilt Chamberlain, Arpad Weisz, Ernst Happel; e ancora, l’Olocausto, Halloween, la cultura di massa americana, il ’68, le Olimpiadi, tramite televisione, internet, conferenze stampa ovunque, in Italia, e nel mondo (parla fluentemente più lingue, su tutte l’inglese e lo spagnolo). Mischia, Buffa, il pop con la citazione colta, il basso con l’alto, e non te lo fa neanche notare, così bravo come è a decostruire e ricomporre gli episodi e le vite che, alla fine, ciò che esce, è un di più per il personaggio e/o l’evento che ha appena delineato, un trattato sociologico e storicizzante, una tavolozza ricolma di colori e viaggi nel tempo.
Ma non pensate, per chi non lo conoscesse, di avere a che fare con un narratore di sport e basta. Primo perché ha realizzato speciali su arte, storia, letteratura, persino ospitato dalla Scuola di scrittura Holden di Torino (in ambito accademico, la sua forma espressiva è stata più volte spunto e oggetto di tesi di laurea); secondo, e sopratutto, perché Buffa parte da un personaggio e/o un evento sportivo (ma non necessariamente) per ordire una tela filamentata di rimandi e suggestioni antropologiche, storiografiche, psicologiche, artistiche, letterarie. Una vera enciclopedia vivente, con capacità mnemoniche fuori dall’ordinario, ricusando ab origine la tentazione al didascalismo per ottenere un affresco della società contemporanea, restituire l’America degli scontri razziali o l’Africa degli anni Settanta al grido di “Ali! Ali! bomaye!”, l’Italia di Rossi e Tardelli nel mezzo degli anni di piombo o l’Inghilterra decadente e molto rock del nordirlandese George Best.
Buffa racconta è un’esperienza di cultura a 360 gradi, oramai un genere a sé del racconto dei nostri giorni. Uno che ha sconquassato il sonnacchioso mondo della cronaca sportiva, un po’ complice, un po’ colluso, sopratutto censurante se stesso, suddito con o senza padroni ma col bisogno servile di trovarne uno per forza.
Lui, Buffa, è troppo avanti per tutto questo. Erede, seppur diversissimo, dei padri Gianni Brera, Vladimiro Caminiti, Beppe Viola, Gianni Clerici, Gianpaolo Ormezzano che qualcosa, nell’ambito della narrazione sportiva, e del/della giornalismo/letteratura tout court, l’hanno dato al patrimonio culturale italiano, lui è talmente superiore al contesto da non avere necessità di affermare la sua libertà di racconto. Il Potere, così presente nel dimesso e monocorde giornalismo sportivo del BelPaese, manco lo vede Buffa. Ne è incapace. E lui continua tenace a esplorare le mille possibilità della lingua cucita sul mondo che ci ha circondato e ci circonda. A un “bastardo privilegiato”, come ebbe a definirsi poiché parlare di sport ed essere retribuito è una fortuna “vergognosa”, tutta la gratitudine dei suoi fruitori. I veri bastardi privilegiati siamo noi.