Omicidio doloso a Terracina, si è concluso il processo per la 61enne polacca accusata di aver lasciato morire il marito
Una decisione che ha lasciato tutti a bocca aperta e nella disperazione i figli della vittima, costituiti parti civili in un processo che si è sicuramente concluso con un esito inaspettato.
La Corte d’Assise del Tribunale di Latina, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, a latere la collega Concetta Serino, insieme alla giuria popolare, ha emesso la sentenza a carico della 62enne infermiera polacca Gabriela Blazewicz, difesa dall’avvocato Francesco Pietricola e accusata di omicidio doloso, maltrattamenti e appropriazione indebita. Vittima delle sue azioni, secondo il Procuratore capo di Latina, Giuseppe De Falco, titolare dell’indagine, il 75enne di Terracina, Bruno Vaccarini, ex marito della donna.
Al termine di una camera di consiglio durata un’ora e mezza, la Corte d’Assise ha assolto la donna per quanto riguarda l’omicidio doloso e dichiarato il non luogo a procedere per la contestata appropriazione indebita di circa 70mila euro dai conti dell’uomo. Una sentenza inaspettata arrivata alla fine di una udienza che si è aperta con l’arringa difensiva dell’avvocato Pietricola, il quale aveva chiesto l’assoluzione per la sua assistita e in subordine l’omicidio colposo. Un’arringa diretta e senza fronzoli che è durata circa mezz’ora e che deve avere convinto la Corte d’Assise. Secondo il legale, non esiste prova che la vedova Vaccarini abbia indotto il marito a seguire il protocollo sanitario “eretico, il quale prescriveva di curare il tumore con vitamina C e curcuma, invece che con le cure classiche come la chemioterapia.
La donna era accusata di aver lasciato morire Vaccarini, sposato in seconde nozze. I fatti risalgono agli anni 2018 e 2019 quando, il 7 marzo di quest’ultimo anno, l’uomo morì. Malato di cancro ai polmoni e con un’aplasia alla prostata, il 75enne fu costretto, solo in ultima battuta, per volontà dei tre figli di primo letto – costituisti parti civili e presenti in aula in ogni udienza e anche oggi al momento della lettura del dispositivo -, ad andare avanti e indietro con l’Ifo, l’istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Purtroppo, Vaccarini ricorse alle cure specialistiche in ritardo: secondo l’accusa, la donna l’avrebbe lasciato morire e gli avrebbe anche sottratto diverse migliaia di euro dai suoi conti, tra i 70 e gli 80mila euro, poco prima del decesso.
Nelle scorse udienze, era emerso di come l’uomo fosse stato curato a vitamina C e altre medicinali assolutamente inidonei a combattere il cancro ai polmoni di cui soffriva, tra cui anti-infiammatori molto potenti. Nel corso del processo avevano reso testimonianza i figli dell’uomo, assistiti dagli avvocati Belardi, Lacerenza e Zempetta. La difesa delle parti civili, peraltro, aveva presentato lo scorso 5 aprile, depositandolo presso la Corte d’Assise, una pen drive contenente documenti audio video in cui Vaccarini parla della vicenda che lo ha coinvolto, prima di morire.
È anche su quel documento audio-video che il Procuratore Capo di Latina, Giuseppe De Falco, che ha rappresentato l’accusa in aula dall’inizio alla fine del processo, ha basato la sua requisitoria, svolta a fine giugno, al termine della quale ha chiesto per Gabriela Blazewicz una condanna a 22 anni di reclusione, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il problema, spesso evidenziato da famigliari e sanitari nel corso del processo, è che Vaccarini era in cura dal dottor Francesco Raggi e si recava da lui, a Terni, per assumere sostanze come melatonina e curcuma, oppure medicinali come il kolibrì (a metà tra un oppiode e la tachipirina), che non erano assolutamente in grado di poter scalfire il cancro.
Il pubblico ministero ha, come accennato, insistito sui video girati dai tre figli che, accortisi di come erano precipitate le cose per il padre ormai morente, avevano voluto registrare un documento che rimanesse come memoria. In uno dei video c’è in sottofondo il telegiornale che dà la notizia dell’arresto di Cesare Battisti, avvenuto a gennaio 2019. Il che fa combaciare il periodo in cui Bruno Vaccarini si era aggravato. Sarebbe morto dopo meno di tre mesi.
Vaccarini a volte parla a fatica, a volte è lucido, ad ogni modo – aveva sottolineato De Falco – dimostra astio nei confronti della sua seconda moglie. Non solo. Le dice nel video: “Bastarda, strega, mi ha fatto il biscotto“, e ammette di essersi affidato a lei in quanto infermiera. Eppure, ad un certo punto, l’uomo spiega negli audio registrati di aver fatto la più grande stupidaggine della sua vita, ossia quella di essersi affidato completamente alla moglie che lo aveva portato da un medico inadeguato.
È a quel punto che nella requisitoria del Pm fanno il loro ingresso nella storia i figli i quali, totalmente esclusi dalla malattia del padre, si rendono conto della ineluttabilità del destino toccato al genitore e gli chiedono di raccontare loro cosa è successo. “Sono audio video pienamente legittimi e leciti dal punto di vista processuale e morale“, aveva scandito De Falco.
De Falco aveva puntato molto nel dimostrare di come la donna polacca avesse soggiogato e assoggettato il settantenne malato di cancro. La donna arriva a dire a un medico di non essere molto aggiornato e che le cure a curcuma e vitamina C fossero invece quelle adatte per l’uomo. E allora tutto questo, secondo il pm, “non è compatibile col dire che si è lasciato morire. Lei va persino in ospedale a svuotargli la sacca del catetere”. Ciò dimostrerebbe la sua voglia di controllo.
Una tesi che è stata assolutamente superata dalla sentenza della Corte d’Assise. Dirimenti, con alta probabilità – ma tra 90 giorni la pubblicazione della sentenza spiegherà nel merito -, le argomentazioni dell’avvocato difensore per cui una coniuge, in questo caso, ha sì obblighi morali ma non a livello giuridico. E probabilmente decisiva la testimonianza, nel corso delle udienze, dell’oncologo romano Lo Pergolo al quale Vaccarini si era rivolto. Il medico, ascoltato come testimone, aveva spiegato che non era certo che il suo tumore avrebbe potuto essere operato, tanto che il paziente, alla fine, non aveva svolto altri accertamenti, proprio in ragione di una possibile ineluttabilità della malattia.
Non banale neanche la circostanza per la quale il medico tossicologico Busardò aveva spiegato che, una volta che Vaccarini era morto, il prelievo del capello aveva dimostrato l’assunzione di tutta una serie di farmaci ma che, ad ogni modo, fino a dicembre 2018 (ossia a tre mesi dalla morte), l’uomo fosse capace di intendere e di volere. Pertanto, secondo la difesa, aveva autonomia di decisione e scegliere di curarsi come meglio credeva.
Per il pubblico ministero, invece, non c’era dubbi: l’imputata sarebbe sempre stata contraddittoria e avrebbe mentito così come le sue due figlie, chiamate a testimoniare e ben consapevoli di poter dire bugie per coprire la madre (da legge italiana non sono perseguibili). “Perché – si domandava il Pm – l’uomo sporge querela prima di morire? Lei dice che sono stati i figli a indurlo a farlo, ma se aveva sempre detto che non avevano un bel rapporto!“.
“Non siamo di fronte a una scelta insondabile di Vaccarini – ribadiva De Falco – ma di una condotta omissiva della Blazewicz“, che indurrebbe il marito a lasciarsi andare ed evitare le cure tradizionali. “Un’opera di suggestione e induzione dell’altrui volontà. Qui c’è stata condotta consapevole e quindi si configura un delitto doloso“.
Scontato l’appello del Procuratore Capo e della parti civili in Appello. La storia, però, in primo grado, ha avuto questo esito per nulla scontato: un’assoluzione piena e persino un reato, quello dell’appropriazione indebita, che probabilmente non aveva ragione di esistere.