Lavoratore mutilato, non ce l’ha fatta il 31enne di nazionalità indiana ferito e abbandonato per strada dal datore di lavoro
È morto il 31enne indiano, Satnam Singh, chiamato da amici e conoscenti “Navi”, rimasto mutilato dal macchinario avvolgiplastica nel pomeriggio del 17 giugno. Il giovane, che si trovava in condizioni molto gravi e in pericolo di vita, era ricoverato al San Camillo di Roma ed è deceduto in seguito alle ferite riportate nel drammatico pomeriggio di un paio di giorni fa.
Due giorni fa, i Carabinieri della Sezione Radiomobile, guidati dal Maggiore Paolo Perrone, erano intervenuti, insieme ai Carabinieri della Stazione di Borgo Podgora di Latina, dove, poco prima, il 31enne, residente a Cisterna di Latina, era stato abbandonato nei pressi della propria abitazione a seguito dell’infortunio sul lavoro.
L’uomo, durante l’attività lavorativa, presso un’azienda agricola del posto, in Strada del Passo, a Borgo Santa Maria, per cause in corso di accertamento, è stato agganciato dal macchinario avvolgiplastica a rullo, trainato da un trattore, che gli ha tranciato il braccio destro. A rimanere schiattate anche le gambe. Il malcapitato successivamente era stato accompagnato a casa e l’arto tranciato era stato poggiato sopra una cassetta utilizzata per la raccolta degli ortaggi.
Dopo aver chiamato i soccorsi, l’uomo era stato trasportato d’urgenza a mezzo eliambulanza all’ospedale San Camillo di Roma. Ancora in corso indagini volte ad appurare la corretta dinamica degli eventi e ulteriori approfondimenti da parte dei militari dell’Arma, insieme al N.I.L. di Latina (Tutela per il lavoro), intervenuto sul posto insieme al personale S.PRE.S.A.L. (Servizio Prevenzione e Sicurezza del Lavoro) dell’ASL di Latina, volti a definire la posizione lavorativa e regolarità sul territorio Nazionale della vittima.
Il datore di lavoro, Antonello Lovato (38 anni), figlio del titolare dell’azienda, che ora è sotto indagine, è stato interrogato dai Carabinieri e ha confessato dopo quasi 3 ore di domande e risposte. Prima di essere interrogato dai Carabinieri, l’uomo, 36 anni, si era presentato in Questura per costituirsi. Ha spiegato di avere avuto paura e di non sapere cosa fare dal momento che la vittima era stata assunta in nero e non ha neanche un permesso regolare di soggiorno. Secondo la sua ricostruzione, sarebbe stato il lavoratore, per sua volontà, a prendere in mano il macchinario, che di solito è utilizzato esclusivamente dal datore di lavoro.
L’uomo, difeso dagli avvocati Stefano Perotti e Valerio Righi, ha anche ammesso di aver lasciato il lavoratore ferito davanti casa sua, a Castelverde, dove ad aspettarlo c’era la moglie. Indagato per lesioni personali colpose, omissione di soccorso, il 36enne verrà indagato, con tutta probabilità, per omicidio colposo. E a finire nel registro degli indagati c’è anche il caporale che, insieme al datore di lavoro, ha accompagnato il 31enne Satnam Singh a casa.
Sia il datore di lavoro che il caporale, nel pomeriggio maledetto di due giorni, hanno caricato Singh insieme ad altri braccianti e persino alla moglie del 31enne che lavorava presso l’azienda di Borgo Santa Maria. Quest’ultima era convinta che stessero per portare Singh al pronto soccorso, invece il mezzo ha virato verso la loro casa a Castelverde (divisa con altri connazionali), in via Genova, a due passi da Borgo Bainsizza, e li ha lasciati davanti all’abitazione, tra le grida disperate della donna.
Un episodio terrificante che, se confermato, evidenzia il disprezzo della condizione umana di un bracciante ferito mortalmente. Saranno le indagini affidate al sostituto procuratore di Latina, Marina Marra, e il perito medico legale, pronto a fare l’autopsia al cadavere di Satnam Singh, a stabilire se il rallentamento dei soccorsi ha determinato la morte dell’uomo.
Chi era con lui ieri, era sicuro che Singh fosse già morto nella giornata di ieri, tanto erano gravi le sue condizioni: non solo il braccio mutilato dall’avvolgiplastica per i meloni ora sequestrato, ma anche le gambe ridotte molto male. L’uomo, avendo perso molto sangue, non ce l’ha fatta, lasciando la moglie, Alisha, in un Paese dove non parla nemmeno la lingua. Tutti e due, racconta chi li ha conosciuti, lavoravano nei campi dopo essere andati via dall’India tre anni fa, indebitandosi proprio per cercare una vita migliore. Quattro euro all’ora per perdere la vita in questa maniera e con un datore di lavoro che, invece di aiutarlo, ha risposto il suo braccio e lo ha accompagnato davanti casa, sperando che passasse la buriana.