Udienza del processo in Cassazione per la morte di Desirée Mariottini: i giudici della Suprema Corte non confermano le condanne
La richiesta era quella di confermare le quattro condanne per l’omicidio di Desirée Mariottini, la 16enne di Cisterna di Latina uccisa nella notte tra il 18 e il 19 ottobre del 2018 in uno tugurio degradato in via dei Lucani 22, nel quartiere romano di San Lorenzo.
Stamani, 20 ottobre, il sostituto procuratore generale di Cassazione, Simone Perelli, ha, infatti, chiesto che venissero confermate le condanne per i quattro imputati, esprimendosi per il rigetto dei ricorsi presentati dagli avvocati difensori contro la sentenza pronunciata dalla Corte d’assise d’Appello di Roma nel novembre 2022 che a sua volta confermava pene di primo grado.
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Il sostituto procuratore generale ha chiesto che venga pronunciata la sentenza irrevocabile dell’ergastolo per Mamadou Gara e Yousef Salia, e le condanne di Brian Minthe e Alinno Chima rispettivamente a 27 anni e a 24 anni e 6 mesi di reclusione. Gli imputati sono accusati, come noto, di aver violentato e ucciso con un mix di droghe la giovane Desy, e sono stati condannati anche in Appello per omicidio, violenza sessuale e spaccio di sostanze stupefacenti. Nei loro confronti le accuse andavano, a vario titolo, dall’omicidio volontario alla violenza sessuale aggravata e alla cessione di stupefacenti a minori.
La prima sezione penale della Suprema Corte, presieduta dal giudice Giuseppe Santalucia, però, ha stabilito di non confermare le condanne dei quattro imputati e la sentenza di Corte di Appello. Gli ermellini hanno infatti disposto un appello bis per Mamadou Gara, condannato all’ergastolo, in relazione all’accusa di omicidio. Si va in appello bis anche per Brian Minthe in relazione all’accusa di cessione di stupefacenti, per il quale cade anche un’aggravante come per il coimputato Alinno Chima: i due erano stati condannati in appello a 27 anni e a 24 anni e mezzo di reclusione. Infine, la Suprema Corte ha assolto dall’accusa di violenza sessuale Yousef Salia, che era stato condannato all’ergastolo nei giudizi di merito, confermando la sua responsabilità per gli altri capi di imputazione.
Presenti in Cassazione i famigliari di Desy, a cominciare dalla madre supportata anche dalle madri di altre ragazze uccise in circostanze simili, come Pamela Mastropietro.
“È un dispositivo complesso, e andranno lette le motivazioni relativamente ai giudizi di rinvio” ha detto l’avvocato Claudia Sorrenti, che assiste Serena Mariottini, zia di Desirée. “Quello che ha sconvolto i familiari è la non conferma dell’accusa di violenza sessuale per uno degli imputati anche se resta la condanna all’ergastolo”. “La mamma è sconvolta, anche se l’accusa di omicidio per tre imputati è stata confermata. È una sentenza che farà discutere”, conclude.
A giugno 2021, era arrivata la sentenza di primo grado. Nel dicembre dell’anno precedente, i pm Maria Monteleone e Stefano Pizza avevano ripercorso i fatti, durante la requisitoria durata per alcune ore, che videro coinvolta la 16enne di Cisterna di Latina.
Per l’accusa, la ricostruzione cruda dell’ultima notte di Desy: secondo i pubblici ministeri, le ferite erano compatibili con uno stupro e sul suo corpo sono state trovate anche “lesioni da presa”, sull’avambraccio e un graffio all’interno di una coscia. La ragazza avrebbe provato a difendersi e a resistere, per poi essere lasciata morire. Decisivi gli esiti degli esami del Dna sulle tracce trovate sul corpo della ragazza.
“Non si trattò solo della cinica e malevola volontà di non salvare la giovane dall’intossicazione di cui loro stessi erano stati autori e di impedire le indagini delle violenze da lei subite, ma – scrissero i giudici della Corte d’Assise – in forma più estesa, di conservare la propria “casa” e le proprie fonti di “reddito”, oltre ad un tranquillo e sostanzialmente indisturbato luogo di consumo degli stupefacenti, che rendeva eccezionale e noto quel rifugio“.
“Chi non ha partecipato – si leggeva nella sentenza da oltre 280 pagine -, o non vi è prova abbia partecipato alla somministrazione delle sostanze tossiche che indussero allo stato comatoso della ragazza, ben può essere chiamato a rispondere dell’evento morte laddove le condizioni di fatto fossero risultate tali da imporre e pretendere anche da parte sua un dovere di protezione e di impedimento delle conseguenze di danno per il bene della vita di Desireé“.
Inoltre, “gli imputati sapevano perfettamente che la ragazza poco prima aveva bevuto molto metadone e aveva fumato crack. Gli imputati hanno mostrato un cinico assoluto disinteresse rispetto al progressivo decadimento delle sue funzioni vitali”. E, infine, solo “una condizione di totale obnubilamento, associata all’effetto analgesico, sedativo ed antidolorifico secondario che il mix di sostanze le provocò spiegano come la giovane abbia potuto resistere ad una tale forma di dolorosissima violenza, senza alcuna reazione apparente e senza neppure sottrarvisi: tanto più che si trattava della prima esperienza sessuale completa“.