Scritto e a cura di Orazio Ruggieri
Ci sono storie nobilitate in maniera imperitura dai testi dell’epica eroica, ce ne sono altre che primeggiano nelle opere narrative che esaltano la predisposizione dell’animo umano a rapportarsi con lo spirito di intensa disponibilità verso tutti. Quella di Mario Albanesi da Terracina e trapiantato a Latina, più che una storia da raccontare, è un modello di vita da proporre per quanti vogliano dare un senso autentico di positività alla loro esistenza.
Figura vincente nelle varie discipline sportive cui si è approcciato, dall’atletica leggera, alla scherma, dal calcio al tennis, ha sempre raggiunto gli obiettivi che si era prefisso all’inizio, seguendo e mettendo in pratica la sua filosofia quella del “sum”, non del “videor”, perché Mario voleva sempre “essere” e non “apparire”. E poi, nella missione di educatore nelle scuole, dove ha lasciato un’impronta di alta professionalità didattica che, sposandosi con il senso di grande umanità verso i discenti, specialmente nei confronti di quanti, come lui, sono partiti da zero, risalendo la china di chi “non è figlio di…”, ne ha forgiato il carattere, favorendone una crescita culturale e umana grazie a un’azione didattica tanto illuminata.
E così è stato anche nella famiglia cui ha dato origine con il fatidico “sì” l’otto gennaio del 1968, accompagnando all’altare l’ins. Rita Cicione di Itri e che ha visto i suoi frutti genitoriali premiati dalla crescita meravigliosa delle tre perle della loro splendida storia d’amore, Ezio, Roberta e Claudio, con i nipoti che sono giunti quale terza generazione e ai quali ha saputo riversare fino all’ultimo quelle linee portanti che impreziosiscono il quotidiano percorso esistenziale di chi le riceve e le mette in pratica. Accanto ai valori della famiglia è sempre albergato nel suo cuore la passione per il tennis. E, senza scendere nella valutazione tecnica lasciata agli addetti ai lavori che ne hanno sempre evidenziato le superlative doti tecniche che lo hanno fatto apprezzare a Latina e nel circuito regionale, si può dire che lui possa confessare, parlando di sé, sulla scia di Neruda, “confesso che ho vissuto”, nonostante quel tie break fedigrafo che l’”ospite” ingrato gli ha “soffiato” a 83 anni, nel modo che ancora “offende tutti”.
E, nell’assemblea commossa di astanti che hanno partecipato al rito esequiale nella chiesa di San Francesco al Piccarello di Latina, le parole, rotte dal pianto del primogenito Ezio, che ne ha riavvolto la pellicola della vita, ricordandolo a fine cerimonia religiosa, sono state, sì, la toccante fotografia di un campione del tennis, ma, più ancora, di un campione tanto particolare nel percorso della vita.