“Il porto commerciale di Gaeta non è il porto della camorra”. Questa frase lapidaria e illuminante, accompagnata da scroscianti applausi della platea presente, è stata pronunciata dal presidente del Consorzio di Sviluppo industriale del sudpontino (Consind) Salvatore Forte, intervenuto sabato 13 aprile presso la sala convegni dell’Hotel Mirasole a Gaeta, in occasione della Festa del tesseramento della FILT CGIL Frosinone Latina. Un incontro nel quale, a pochi giorni dalla ormai tradizionale kermesse Med Blu Gaeta, si è parlato proprio di economia del mare e in particolare del controverso porto commerciale a cavallo tra Formia e Gaeta e delle sue “opportunità”. E infatti all’incontro hanno partecipato anche l’assessore regionale alle infrastrutture e ai trasporti Mauro Alessandri, il presidente dell’autorità portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale Francesco Maria Di Majo, il rettore dell’università di Cassino Giovanni Betta, il sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano, il sindaco di Formia Paola Villa, il sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli, il presidente degli Operatori Portuali Damiano di Ciaccio, il segretario generale della Cgil Frosinone-Latina Anselmo Briganti e il Segretario Generale FILT CGIL Roma e Lazio Eugenio Stanziale.
Le parole di Salvatore Forte, quindi, non lasciano nemmeno un piccolo sospetto, un qualche dubbio, e non ammettono che ci si ponga qualche interrogativo in merito, dopotutto il territorio lui lo conosce molto bene dopo tre mandati a capo del Consorzio di Sviluppo industriale del sudpontino e per molti anni consigliere comunale a Formia. E come lui anche il sindaco di Gaeta Cosmo Mitrano ha affermato: “Non dobbiamo accentuare i problemi del porto, ma dobbiamo risolverli. Perchè altrimenti ogni volta che accentuiamo i problemi e veniamo a creare una percezione negativa del nostro porto, danneggimo imprese”. Ma perchè tanta sicurezza vi chiederete? La risposta arriva dallo stesso Forte, che prosegue il suo intervento e chiarisce che non bisogna associare il porto commerciale alla camorra perchè questo spaventa le possibili economie e quindi quelle opportunità di cui parla il titolo dell’incontro. E allora forse più che dire che “il porto commerciale di Gaeta non è il porto della camorra”, avrebbe potuto dire che “non bisogna dire che il porto commerciale di Gaeta è il porto della camorra”. Abbiamo poche certezze e tanti sospetti e Forte dovrebbe conoscerli molto bene.
Anzi benissimo, perchè invece a non avere dubbi, nel novembre del 2013, fu l’ex sindaco di Formia Sandro Bartolomeo – al quale Salvatore Forte e il suo partito hanno garantito la maggioranza fino alla fine del 2017, facendo la sua stampella (Forte era consigliere comunale e già a capo del Consind) – il quale dichiarò (minuto 07:35), senza ombra di dubbio che “sicuramente il traffico di rifiuti riguardò il porto di Gaeta” e che “i rifiuti sono finiti sulle navi per andare da altre parti”. E ancora affermò Bartolomeo che “sulla storia dei rifiuti tossici in Africa ci è morta Ilaria Alpi, lo sapete molto bene”. Per concludere poi dicendo che “bisognerebbe occuparsi dell’inquinamento della politica locale con la camorra e fa anche nome e cognome” (riferendosi alle rivelazioni di Carmine Schiavone – riportate anche nel video a seguire – circa l’interessamento diretto e dell’appoggio che l’ex sindaco Michele Forte – secondo le parole di Schiavone – avrebbe fornito alla famiglia Bardellino e al clan dei Casalesi con le licenze edilizie e altri accorgimenti. Nessuna delle suddette rivelazioni di Schiavone ha mai riguardato Salvatore Forte, che pure è stato ininterrottamente consigliere comunale dal 1985 e che delle amministrazioni di Michele Forte ha ripetutamente fatto parte, ndr).
Sandro Bartolomeo è stato sindaco di Formia sin dal 1993 e quindi conosce bene questo territorio, allora forse Salvatore Forte, se è veramente interessato a fugare ogni dubbio circa le attività del porto commerciale, poteva – e potrebbe – chiedere a lui quale sia stata davvero la realtà al porto di Gaeta. Ma oltre alla sua personale conoscenza, Bartolomeo si riferisce anche alle parole di un celebre “ex” camorrista, Carmine Schiavone, che negli ultimi anni, prima delle sua morte, ha raccontato ripetutamente degli affari, delle circostanze, dei nomi e dei cognomi che hanno reso ricca e potente la camorra campana dei Casalesi, e che hanno portato al famigerato processo “Spartacus“. O meglio ha potuto rendere pubblico ciò che fino ad allora era stato coperto dal segreto di Stato a seguito del suo pentimento e della sua collaborazione con la giustizia. E non poteva ovviamente mancare il porto commerciale di Gaeta, e come questo sia stato per molto tempo, e non sappiamo – perlomeno noi – se lo sia ancora, crocevia intercontinentale di traffici di rifiuti tossici per conto della camorra. E Schiavone a tal proposito cita anche come protagonisti di quel business “un gruppo di somali”. I somali in questione sono riferibili proprio alle indagini della giornalista Ilaria Alpi, che in Somalia fu ammazzata brutalmente a raffiche di mitra nel 1994 insieme al suo operatore Miran Hrovatin, mentre stavano ufficialmente seguendo come inviati per conto della Rai la guerra civile, ma al contempo indagavano sul traffico di armi e rifiuti tossici alla volta della Somalia.
A Gaeta c’erano i somali perchè il Golfo era uno degli scali commerciali più importanti sulle rotte delle navi della flotta Shifco, una compagnia che si occupava degli scambi commerciali tra Italia e Somalia, nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale. In particolare era prevista una specifica convenzione, denominata Pesca Oceanica, che prevedeva lunghe spedizioni di pesca in pieno oceano, il cui pescato veniva poi ceduto a grosse aziende per essere messo sul mercato. Qui entra in gioco la Panapesca di Vito Panati, una rinomata azienda ittica che ha avuto una delle sue sedi storiche a Gaeta e allora ancora denominata Pia, che ha chiuso i battenti solo qualche anno fa, e dove ora proprio il Consind di Salvatore Forte ha previsto la realizzazione – in fase di ultimazione – di un centro commerciale di media vendita (ancora da capire il destino dei 46 lavoratori rimasti orfani di Panati). Vito Panati, sentito dalla commissione parlamentare il 22 marzo del 1995, ricordò come fino al 1993 i rapporti con la Shifco fossero solo di natura commerciale. Un cliente-commerciante. La Pia acquistava svariate tonnellate di pescato dalle navi Shifco per poi rivenderle. Successivamente Panati, da semplice commerciante, diventò parte di quel progetto, stipulando un contratto di gestione delle navi insieme alla Shifco. E così anche tutto il personale passò a Gaeta.
E non solo i rifiuti, come ricordava Schiavone, ma anche le armi, come ricordò il Consiglio di Sicurezza Onu S/2003/223, secondo cui il 14 giugno 1992, ricostruisce il rapporto, una nave Shifco caricò dalla M.V. Nadia circa 300 fucili d’assalto Ak-47 dell’Est Europa e 250mila proiettili di piccolo calibro. Il carico fu poi sbarcato ad Adale, in Somalia. Complice di Mugne (che era l’amministratore della flotta Shifco) e regista dell’intera operazione fu il “principe di Marbella” Monzer al-Kassar, trafficante internazionale di armi che riuscì a violare sistematicamente l’embargo Onu sulla Somalia a partire dal gennaio 1992.
Ma dopotutto l’incontro, come sottolineato in apertura dalla relazione introduttiva del Segretario Generale FILT CGIL Frosinone Latina Daniele Marciano, aveva come parola chiave la sostenibilità del porto e la possibilità di dedicarsi a nuove frontiere economiche e commerciali. Tuttavia, come ha poi replicato il sindaco di Formia Paola Villa, ciò non basta per superare la minaccia della criminalità organizzata e delle sue infiltrazioni. Basti pensare alle indagini dell’aprile del 2013 della Direzione Investigativa di Trapani su mandato dello stesso Tribunale che portarono al sequestro del valore di un miliardo e mezzo di euro tra beni immobili, 43 società di capitali con partecipazioni estere e ingentissimi patrimoni, più di 60 rapporti finanziari e decine di lussuosissime autovetture, oltre a un catamarano di 14 metri appena costruito, riconducibili al 54enne imprenditore di Alcamo Vito Nicastri, ex elettricista e ribattezzato dal Financial Times come “il signore del vento”, ritenuto vicino a Cosa Nostra e in particolare al boss superlatitante Matteo Messina Denaro. Quelle indagini, dicevamo, riguardarono un altro traffico, ovvero quello delle pale eoliche, e il loro passaggio anche dal porto di Gaeta, destinate all’edificazione dei parchi eolici del Molise, d’Abruzzo e del Gargano. Provenivano da quattro società spagnole, tra cui la Gamesa Eolica Group leader mondiale del settore, e una francese. Stoccate su un piazzale regolarmente preso in affitto dall’Autorità Portuale, le pale venivano poi affidate a cooperative di trasporto quali La Molisana che da anni opera nei trasporti industriali ed eccezionali sia sul territorio italiano che europeo. E che, negli ultimi anni, si è contraddistinta per il trasporto di impianti eolici in quanto dispone di veicoli speciali esclusivamente adibiti al trasporto di componenti eoliche. Tutto regolare.
Indagini che sarebbero poi sfociate nell’arresto di Nicastri e di altre 11 persone nel 2018, nell’ambito di una indagine della Dda di Trapani, che ha tra le altre cose scoperto come i soldi guadagnati col business del vento da Nicastri servivano alla latitanza di Matteo Messina Denaro. Il superlatitante è prepotentemente tornato alla ribalta delle cronache nelle ultime ore perché sono finiti in manette un ufficiale della Dia, un carabiniere e l’ex sindaco di Castelvetrano, colpevoli di passargli informazioni oggetto di indagini a suo carico: ecco perché forse è uno dei ricercati più pericolosi al mondo. Ma questa è un’altra storia, diciamo così. A prescindere da ciò va detto che il business e la movimentazione delle componenti eoliche è un mercato attualmente in espansione nell’hub pontino e sul quale la Intergroup della famiglia Di Sarno ha deciso di puntare.
Ma nel porto commerciale succede molto altro ancora. Non sappiamo dire – al momento – se ci sia la mano della criminalità organizzata oppure no, ma era il novembre del 2009 quando nel porto commerciale di Gaeta furono fermati e sequestrati 10 automezzi, pronti per essere spediti in Libia, con 15 certificati di proprietà falsi, facenti parte di una partita di 446.000 certificati di provenienza furtiva, risultati rubati a Bari. Nè Salvatore Forte nè nessun altro ha ricordato queste e altre circostanze, come il sequestro per traffico internazionale di rifiuti avvenuti nel 2013 da parte della Guardia di Finanza di 2800 tonnellate di materiale ferroso stoccato in riva al porto e destinata in Turchia o la sistematica violazione del regolamento per limitare la dispersione di merci polverose, in particolare il pet-coke, approvato nel 2013 e di fatto quasi mai fatto rispettare a beneficio delle popolazioni residenti di tutto il golfo. Ancora oggi i camion entrano ed escono dal porto senza le necessarie misure di contenimento e contrasto alla dispersione come imporrebbe il regolamento.
Ora, il vero interrogativo che lasciano tutte queste circostanze, è come sia possibile che Salvatore Forte non sappia, non ricordi o non consideri tutto ciò, affermando con certezza che la camorra e il porto commerciale di Gaeta siano tra le cose più distanti che possano esistere. Dopotutto Forte è stato consigliere comunale a Formia ininterrottamente per 32 anni (da un anno ha passato il testimone alla sorella per incompatibilità), oltre a essere stato componente dell’Assemblea della XVII^ Comunità Montana dei “Monti Aurunci”, membro del Consorzio di Bonifica del Sud Pontino, componente della speciale Commissione alloggi dell’I.A.C.P. di Latina, vicepresidente del G.A.C. “Mar Tirreno pontino ed Isole Ponziane” e componente della Giunta Nazionale della FICEI, nonché del Consiglio Direttivo della C.I.S.E. (Confederazione Italiana per lo Sviluppo Economico). Oltre a essere come già detto presidente del Consind per tre lustri. Insomma delle due l’una, o è un pessimo amministratore pubblico e non si è quindi accorto di nulla di quanto accadeva a Gaeta, e allora è il caso che non si lanci in valutazioni e affermazioni del tutto prive di ogni fondamento, oppure pur ben conoscendo i traffici e la presenza della camorra, per l’avvocato Forte è meglio non parlarne, non ricordarlo, perché sono più importanti le “opportunità” come dicevamo in precedenza, e gli affari non vanno disturbati, mai.