Cinque morti nella casa di riposo per anziani di Cori, la Procura di Latina ipotizza l’omicidio colposo: nuova tappa in udienza preliminare
Il giudice per l’udienza del Tribunale di Latina, Barbara Cortegiano, ha accolto la costituzione di parte civile di dodici famigliari delle cinque vittime, morte durante la pandemia da Covid-19, all’interno della Rsa di Cori, gestita dal noto gruppo Gioma Care srl. È stato riconosciuta, inoltre, la responsabilità civile anche alla predetta società, nonché ai due indagati: la direttrice sanitaria della struttura, Emilia Reda, e il rappresentante legale di Giomi Care srl, Fabio Miraglia, difesi dagli avvocati Bevere e Padroni.
I famigliari sono difesi dagli avvocati Rccardo Amadei e Alessandro Marfisi che hanno presentato per i rispettivi assistiti la costituzione di parte civile nell’ambito dell’udienza preliminare, rinviata al prossimo 6 maggio quando il Gup Cortegiano, una volta ascoltate le parti, deciderà sul rinvio a giudizio dei due indagati.
Una strage silente. È questa la locuzione che giornalisticamente è stata utilizzata per chiamare quella che fu la cattiva conduzione di diverse RSA nel territorio italiano. A perire, in quegli anni terribili di pandemia, già ingurgitati dall’oblio dettato da nuove tragedie (le guerre in Ucraina e Medio Oriente su tutto), furono diversi anziani e non. È di certo un caso non certo trascurabile quello della Rsa Giomi di Cori per cui il Procuratore Capo di Latina Giuseppe De Falco e il sostituto Martina Taglione ipotizzano l’omicidio colposo.
I fatti si riferiscono al 2020, in piena pandemia, con tanto di lockdwon, quando le misure restrittive del Governo Conte e della Regione Lazio erano vigenti al massimo. Il Covid-19 imperversava, mietendo vittime e ricoveri, e le residente sanitarie assistite erano tra i luoghi più a rischio, ospitando gli anziani, ossia la categoria ritenuta più fragile e permeabile alle insidie del Coronavirus (un virus che all’epoca attaccava forte ai polmoni).
Gli inquirenti si sono avvalsi degli accertamenti di Squadra Mobile di Latina, Nas di Latina e Asl di Latina, oltreché a testimonianze e documentazione. Una indagine scaturita dalla denuncia effettuata in due diversi momenti, tra il 2020 e il 2022, da due famigliari delle vittime morte all’interno della RSA di Cori.
Secondo la Procura di Latina, i due indagati – la direttrice sanitaria e il rappresentante legale – avrebbero agito con negligenza e imperizia violando la normativa anti-contagio che servivano a prevenire l’infezione da Sars-CoV2 all’interno delle strutture residenziali e sociosanitarie. Sarebbero state disattese linee guida del Ministero della Salute, ordinanze della Regione Lazio e leggi nazionali.
A morire, a causa del Covid, furono in cinque ospiti della RSA tra il novembre 2020 (quattro persone) e il febbraio 2021. I deceduti avevano rispettivamente 70 anni, 68 anni, 94 anni, e due 56enni. Le vittime del Covid-19 erano di Latina, Sezze e Cisterna di Latina. Ospiti della Rsa che pagavano rette da circa 2000 euro al mese e che non sono i soli ad essere deceduti. Per le cinque vittime, però, i Nas e la Asl sono convinti che a causare la loro dipartita sia stato il Covid.
Gravi le accuse dei magistrati pontini a carico di Reda e Miraglia i quali, come responsabili, si sarebbero macchiati di pesanti omissioni: dal dotare di mascherine il personale della Rsa al garantire ai dipendenti i corsi formativi, fino al controllo quotidiano della temperatura di persone in entrata e in uscita dalla Rsa.
E ancora, i due indagati vengono accusati di aver omesso di adottare misure idonee per evitare gli spostamenti degli ospiti all’interno della residenza corese; separare i percorsi; impedire le visite di famigliari e parenti nel momento più critico della circolazione del virus; adottare misure idonee durante i pasti e, infine, isolare in quarantena i nuovi ospiti della struttura, consentendo loro, invece, di desinare con gli altri anziani già presenti.
Insomma, un’assenza di controllo totale, secondo la Procura di Latina, tanto che le “regole cautelari gravemente violate”, se osservate, “avrebbero raggiunto il loro fine” di prevenire e impedire la morte dei pazienti.
Inoltre, alla direttrice sanitaria viene contestato di non aver valutato adeguatamente la condizione di salute di un anziano, poi deceduto a novembre 2020, il cui quadro clinico prevedeva un trasferimento presso un ospedale. I magistrati ipotizzano che l’uomo si sarebbe potuto salvare se avesse usufruito di una terapia con l’ossigeno.