Da addetto stampa della Provincia di Latina ha passato in rassegna cinque Presidenti dell’Ente di Via Costa: le confessioni di Leone D’Ambrosio
Giornalista, insegnante di lettere, poeta, scrittore, Leone D’Ambrosio, addetto stampa della Provincia di Latina per 27 anni, va in pensione e, finalmente, senza avere più doveri derivanti dall’essere dipendente dell’Ente, spiega cosa sono stati i suoi anni a Via Costa. Una sorta di “Sostiene D’Ambrosio”, per parafrasare il celebre romanzo di Antonio Tabucchi sul giornalista di mezz’età, Pereira, che decide di denunciare il regime di Salazar in Portogallo, dopo una vita passata a fare il suo mestiere senza squilli.
L’unica differenza – a parte, evidentemente, il fatto che non la Provincia di Latina non è un regime fascista – è che D’Ambrosio – originario di Sperlonga, città in cui fa fatica a tornare – zitto non è mai stato e, proprio per questo, non è mai stato amato da nessuno dei politici che hanno varcato le porte di Via Costa. Raccomandati, concorsi aggiustati, meschinità, il racconto di D’Ambrosio è un prontuario di quello che è, con tutta probabilità, la cifra della maggior parte degli enti pubblici italiani quando la politica sostituisce al merito solo le ragioni dell’appartenenza, della convenienza e del tornaconto.
“Ho fatto il giornalista come un bottegaio”, esordisce D’Ambrosio nel suo articolo. Un articolo sì (che pubblichiamo fedelmente), proprio perché, come dice l’ormai ex addetto stampa della Provincia di Latina, “non si smette mai di essere giornalista”.
“Gli addii sono sempre tristi ma andare in pensione è un passaggio importante della vita ed è pieno di significati. Il pensionamento è un avvenimento inevitabile che ogni lavoratore ad un certo punto della vita ha di fronte. Questo giorno per me ha il valore di un 25 Aprile, la “liberazione” da ogni sorta di prepotenza e sopraffazione. Sono sereno per aver dato il meglio di me stesso in tutti questi anni, deluso, anche, per come è stato il mio percorso lavorativo, di certo non per causa mia. Non parlo di quando appena laureato ho iniziato a insegnare negli istituti scolastici superiori materie letterarie per un decennio, anche se prevaleva in me il mestiere di giornalista. Una professione che ho amato e che continuo ad amare (perché non si smette mai di essere giornalista), svolta in parallelo fino a quando è stato possibile.
Mi sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Roma e del Lazio circa quarant’anni fa, ho collaborato e ricoperto incarichi redazionali in varie testate giornalistiche nazionali della carta stampata e radio-televisiva. L’assunzione in un Ufficio Stampa di un Ente pubblico importante come la Provincia di Latina, quale vincitore di concorso, che doveva essere un coronamento professionale si è trasformato, invece, e non so perché, forse, per “invidia” di qualche dirigente o di qualche presidente “vendicativo”, in un vero e proprio calvario.
Ho visto cinque “Papi laici” (non come i Papi “Visti da Vicino” da Giulio Andreotti, per citare un suo celebre libro, almeno quelli erano in odore di santità) con caratteristiche culturali, professionali, umane e colore politico, uno diverso dall’altro. Nessuno di loro, certamente, in odore di santità, ma Presidenti (Cusani, Della Penna, Medici, Stefanelli), se escludiamo il primo (Martella), responsabile soltanto di aver lasciato un “tesoretto” gestito poi dal suo successore, piuttosto pilateschi o Don Abbondio o di monarca assoluto qualcun altro, con la concezione di governo de “l’État, c’est moi!”.
In questi ventisette anni ne ho viste di cotte e di crude. Ho visto riesumare graduatorie di concorsi scaduti, sfilare sotto i miei occhi portaborse, politicanti “trombati”, funzionari con la tessera di questo o di quel partito, yesman, amici e parenti avanzare nella loro carriera professionale, nella loro posizione economica a suon di quattro zeri. Molti di loro sono “fedelissimi” che per anni sono stati (e tanti altri sono ancora imboscati) alla corte di un sindaco di un Comune o di un onorevole “amico” della Regione Lazio o della Camera o del Senato.
Mi sono dovuto capacitare che le lauree statali (vecchio ordinamento), dottorati di ricerca, iscrizioni a ordini professionali, master universitari e tanti altri titoli, non servivano a nulla. Bastava cambiare i requisiti interni e lauree triennali di università private online (c’è stata la rincorsa a quel pezzo di carta), diplomi di istituti privati, diventavano titoli privilegiati per ricoprire un ruolo di alta professionalità, a volte anche dirigenziale o validi per qualche concorso “vinci facile” e cucito su misura. Tutto ciò a molti sembrerebbe un’assurdità ma è la pura verità. Ho provato più volte, quando potevo, in tutti questi anni, ad alzare la voce, a rivendicare i miei diritti, anche a livello sindacale, ma alla fine s’imponeva sempre chi aveva il potere decisionale a favore di chi aveva il suo “Santo in Paradiso” o delle doti femminili particolari. Insomma, tu eri l’Alberto Sordi de “Il Marchese Del Grillo”, quello di “Che ci volete fare: io so io, voi nun siete un c…”. E poi, c’è chi parla di “valorizzazione interna” e di “sistema premiante” e non di “amichettismo” e “familismo”!
Qualcosa dovrà pur cambiare, mi auspicavo! Invece, no. Un governo peggiore dell’altro. Proprio, per marcarti stretto, per metterti un ulteriore bavaglio, venivano assunte altre figure esterne professionali di “fiducia” (usando leggi e leggine, finanche la legge sulla Stampa, la n.150, un controsenso, ma mai applicata ufficialmente, pur esistendo dal 2000), così da titolare “Addetto alla Comunicazione” che ero diventavo l’aiuto di un portavoce, di un capogabinetto, di un giornalista-non giornalista, insomma, di un “fedelissimo” portaborse pagato profumatamente. E io con un contratto da giornalista avrei “mandato in dissesto l’Ente”, secondo qualche dirigente!
Sono convinto, comunque, che già da oggi (dal momento che si è liberato il mio posto) l’Ente troverà il suo “Giorgio Bocca” o la sua “Oriana Fallaci” con una delle solite “selezioni” o “concorsi” o “mobilità”, con tanto di inquadramento e di stipendio dirigenziale, in quanto un Ente pubblico che si rispetti – diranno per convenienza questa volta – non può non avere il suo Ufficio Stampa. E, quindi, nessun Ente andrà in dissesto finanziario! Allora, spero, che intervenga una volta per tutte chi di dovere per mettere fine a questo sistema di “cambiali in bianco da pagare”, di chi si sceglie il posto dove è più comodo andare. Ma anche di porre fine a questo stalking/mobbing continuo nei confronti di chi non ha tessere di partito o non fa parte di qualche cricca di amici degli amici.
E pensare che lo stipendio di un dirigente, di un portavoce, di un direttore generale è costato all’Ente quanto lo stipendio di un deputato francese e più di quello spagnolo. Mentre tu eri soltanto una brava persona preparata che sapeva scrivere, che pubblicava libri in tutto il mondo, bravo, però, a scrivere telegrammi d’auguri o di morte e qualche comunicato “istituzionale” quando non si poteva fare a meno; a fare le fotocopie di qualche articolo di giornale per un “freddo” collage da Rassegna Stampa che non voleva fare nessuno.
Insomma, ho fatto il mestiere di giornalista paragonabile a quello di un “bottegaio”. Mi sono stati addirittura limitati i corsi di aggiornamento professionale (a differenza d’altri colleghi che andavano su e giù per l’Italia, e in passato, anche in missione all’estero) e gli accessi informatici, e quant’altro. E questo è vergognoso!
“Se tu dai una cosa a me, poi io do una cosa a te…”, altro che “meritocrazia”, altro che “legalità” che tutti, da destra a sinistra, in nome di Falcone e Borsellino si sciacquano la bocca! L’illegalità il più delle volte viene scambiata per legalità! Insomma, politici di “casa nostra” che vogliono sembrare ad ogni costo agli occhi della gente delle persone virtuose, invece, non lo sono affatto. “Quante squallide figure che attraversano il paese, com’è misera la vita negli abusi di potere!”, avrebbe aggiunto Franco Battiato.
Questo tipo di “politicuccio” che crede di indossare le vesti di Statista, di sentirsi il Napoleone, il De Gasperi, la Merkel o il Kennedy di turno, io credo, non dovrebbe essere eletto neanche come amministratore di condominio. Invece, c’è chi continua a ricoprire incarichi istituzionali, di sindaco, di consigliere, di assessore, e così chi ne ha più ne metta, qualcuno anche con una condanna penale nel suo curriculum. Troppe ingiustizie, troppe cattiverie, che penalizzano la vita delle persone oneste e serie! E le cattiverie, si sa, prima o poi tornano sempre indietro a chi le ha fatte! Tanto che qualcuno di questi, con la faccia tosta, sentendosi perseguitato (e non perseguitante per il male che ha cagionato agli altri) da “invidia e gelosia”, ha avuto anche il coraggio di chiedere l’intercessione di Madonne, Santi e Beati, organizzando pellegrinaggi e gruppi di preghiera!
Tuttavia, ho visto nel corso degli anni importanti progetti essere affossati o ridimensionati a causa di qualche “Cetto La Qualunque” che si sentiva il depositario della verità. Comunque, costoro dovranno rispondere alla propria coscienza, ammesso che una coscienza ce l’abbiano!
Mentre rimanevo un personaggio kafkiano, messo all’angolo, nonostante tutte queste cattiverie, personali e professionali, non ho mai abbassato la testa. Mi sono difeso e ho anche perdonato con spirito cristiano. Perché credo che qualcuno dall’alto ci vede e ci giudica. Anch’io da giovane, e per molto tempo, ho ricoperto incarichi politici e istituzionali elettivi importanti, ma non ho mai pensato di illudere nessuno o comportarmi in modo scorretto con le persone. Anche se poi ho deciso di lasciare la politica. Ma è stata una scelta del tutto personale, sofferta, convinta, in quanto la politica è, e dev’essere una missione. D’altronde, avevo per riferimento figure come La Pira, Moro, Dossetti, il gesuita padre Sorge, con lui instaurai anche un bel rapporto d’amicizia. La stessa amicizia che ebbi con scrittori importanti italiani e stranieri come Natalia Ginzburg, Leone Piccioni, Maria Luisa Spaziani, Stanislao Nievo.
All’inizio ho parlato di “Papi”, io, un Papa da vicino, in carne e ossa e pure Santo, che ho amato tanto, l’ho conosciuto veramente, in due udienze in Vaticano: Giovanni Paolo II, e un ricordo così uno se lo porta dentro per tutta la vita. Altro che Via Costa!
Ho parlato di Fede, perché sono intimamente convinto che questi valori sono intrecciati fortemente con la “spiritualità” che, anche se riservata, proprio agli occhi di chi “crede” appare evidente. Mi riferisco alla fiducia grandissima che ripongo nell’uomo e nella ragione, fiducia che sicuramente non ci sarebbe stata, attese le tante empietà compiute da certi uomini, se non fosse radicata in qualcosa di sovrannaturale.
Oggi sento il bisogno, comunque, di esternare i sentimenti di gratitudine soltanto verso quelle persone, poche, a dir il vero, che a vario titolo e in circostanze diverse hanno sostenuto e apprezzato la mia onestà intellettuale, l’imparzialità, lo spirito di giustizia, l’apertura al dialogo, ovvero, tutto ciò che ha rappresentato il filo conduttore delle mie azioni. Ma sono convinto, anche, che “l’esperienza è la somma delle nostre delusioni”, come affermava Henri Frédéric Amiel”.